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Il testimone dell’omicidio Livatino: “Da quel momento ho capito che la mia vita era finita” 

Pietro Nava, unico testimone dell’omicidio del giudice Livatino, ha parlato in esclusiva nel documentario “In fede” trasmesso ieri su Raiuno

Pubblicato 4 ore fa

“Da quel momento lì.. non mi sono accorto ma la mia vita era finita”. A parlare, in esclusiva per Raiuno che ha realizzato il documentario “In Fede: Rosario Livatino”, è Pietro Nava, unico testimone del delitto del giudice beato avvenuto il 21 settembre 1990 lungo la strada Canicattì-Agrigento. La storia di Pietro Nava è uno straordinario esempio di legalità.

Un uomo che non si è tirato indietro e ha fatto il proprio dovere pur pagando un prezzo altissimo. “Fai conto che io non ho più le mie fotografie né quelle dei miei piccoli, furono bruciate, sono senza storia”. Nava, seppur abbia vissuto momenti di sconforto, ribadisce di “non aver mai avuto in cuore l’idea di ritrattare la mia testimonianza perchè io la mattina mi alzo, mi guardo allo specchio, mi faccio la barba e sono contento di me stesso, ho rispetto di me stesso. Io penso che se un uomo perde la sua dignità perde anche il rispetto di se stesso. Ma che uomo è? Come fa a vivere?”. E ancora: “Ho avuto un senso, e ce l’ho anche un pò oggi, di dispiacere perchè sapevo che con la mia testimonianza questi ragazzi che avevano ammazzato il giudice avrebbero preso l’ergastolo e praticamente gli avrei rovinato la vita perchè avevano 21-22 anni. Non è una bella roba però hanno fatto un errore, non dovevano ammazzare e quindi anche loro avevano fatto la loro scelta.”

Nava ripercorre poi quegli attimi drammatici del 21 settembre 1990: “Io stavo sorpassando un furgoncino, perchè quella è la zona dell’uva Italia, era un’ape stracarica di uva. E poi mi ha sfiorato una moto enduro con a bordo due ragazzi e la prima cosa che ho notato è che avevano la targa coperta con del nastro. Mi è venuta subito rabbia perchè ho detto “guarda questi qui.. se mi pigliano ci ammazziamo”. Ho fatto un rettilineo, un paio di curve e ad un certo punto ho visto una Ford Fiesta appoggiata al guardrail con il vetro rotto e una moto ferma e ho pensato: Ecco, si sono impastati.. non è toccato a me ma è toccato a loro”. Quando sono arrivato lì vicino, io andavo piano, ho visto due tizi fermi: uno con la moto e l’altro che saltava il guardrail con una pistola in pugno.”

Il testimone, unico tra i tanti passanti ad avere avuto il coraggio di chiamare la polizia, fornisce tantissimi dettagli: “C’era il gip, c’era la polizia poi è arrivato anche il giudice Falcone con la scorta. Chiaramente la gente si meravigliava di come io avessi una dovizia di particolari e io ho spiegato: “Guardate che questo è il mio lavoro, io sono abituato a ricordarmi le cose: il casco bianco, il maglione rosso, le scarpe Timberland, la camicia Madras di quello che correva, la camicia azzurra del giudice. È un flash, ti resta dentro come una polaroid. Poi ho preso le chiavi e ho detto agli investigatori che dovevo andare a lavorare perchè se non lavoro non mangio e dovevo andare a Sciacca per incontrare un cliente.” Tutto questo non avverrà mai poiché da quel momento Pietro Nava diventerà “Nessuno”. 

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