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Il traffico di droga a Licata, il rolex e i soldi messi da parte: “Non gli resta molto tempo..”

Inquirenti e investigatori - nei mesi precedenti - avevano piazzato cimici e telecamere proprio in quei luoghi intercettando anche dialoghi e conversazioni con familiari e altri soggetti

Pubblicato 6 ore fa



Quando i poliziotti della Squadra mobile si sono presentati nella sua abitazione e in quella dei genitori, dove nel vano contatori sono stati rinvenuti quasi tre chili di hashish e oltre duecento grammi di cocaina, ha immediatamente disconosciuto la paternità dello stupefacente affermando che chiunque avrebbe potuto posizionarlo in uno spazio comune a tutti. Poco dopo, quando in una delle stanze dell’appartamento sono state trovate tre mazzette sigillate per un importo complessivo di 46mila euro, e un rolex, ha dichiarato che quel denaro fosse frutto dell’attività lavorativa e della pensione dei genitori.

Almeno è quesa la versione fornita da Carmelo Marino, finito in manette negli scorsi giorni a margine di un blitz eseguito dai poliziotti nell’ambito di un’inchiesta che ipotizza l’esistenza di un’associazione in grado di trafficare armi e droga. Non sono dello stesso avviso però inquirenti e investigatori che – nei mesi precedenti – avevano piazzato cimici e telecamere proprio in quei luoghi intercettando anche dialoghi e conversazioni con familiari e altri soggetti.

La versione di Marino non ha convinto nemmeno il gip Micaela Raimondo che, nel convalidare l’arresto, ha disposto nei suoi confronti la custodia in carcere: “Le modalità della condotta sono sicuri indici della non occasionalità dell’azione – scrive il giudice – e del suo inserimento nel locale circuito dedito allo spaccio tenuto anche conto della significativa somma di denaro rinvenuta nella sua disponibilità”.

Per i magistrati della Direzione distrettuale antimafia, che hanno disposto le perquisizioni e che coordinano le indagini, Marino farebbe parte di un gruppo dedito al traffico di droga e armi. Ma vi è di più poiché al licatese viene anche contestata (insieme ai Cusumano e ad un gelese) l’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Agli atti anche alcuni stralci di intercettazioni tra familiari in cui emergeva – è l’ipotesi ricostruita dai magistrati – la preoccupazione per imminenti controlli delle forze dell’ordine e al “poco tempo” che restava al Marino.

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