“Mafia, droga e armi a Licata”: in quattro a processo
Tutti sono stati arrestati dalla Squadra mobile lo scorso luglio in un blitz nell’ambito di un’inchiesta che ipotizza mafia, droga e armi a Licata
A processo senza passare dall’udienza preliminare. Il gip Alberto Lippini ha disposto il giudizio immediato nei confronti di quattro persone coinvolte – a vario titolo – nel blitz della Squadra mobile scattato lo scorso luglio a Licata nell’ambito di un’inchiesta che ipotizza l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di armi e droga ma anche di minacce e atti intimidatori.
In quell’occasione, dopo perquisizioni a tappeto anche con l’utilizzo di ruspe ed escavatori, vennero arrestati in quattro: Domenico Cusumano, 56 anni, il figlio Rosario Cusumano, 26 anni (difesi dall’avvocato Santo Lucia), ed i fratelli Carmelo e Giacomo Marino, anche loro di Licata, difesi dall’avvocato Gaspare Lombardo. Tutti, dunque, finiscono oggi a processo con la prima udienza che si celebrerà il prossimo 17 dicembre davanti i giudici della seconda sezione penale del tribunale di Agrigento presieduta da Wilma Angela Mazzara.
La vicenda è collegata all’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che ipotizza l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di armi e droga ma anche di minacce e atti intimidatori. Lo scorso mese di luglio sono state disposte perquisizioni a tappeto tra Licata e Canicattì culminate con l’arresto in flagranza di quattro persone. Nel fabbricato rurale nella disponibilità di Cusumano gli agenti hanno trovato di tutto: cinque pistole, tre revolver a salve modificate per lo sparo, due fucili, migliaia di munizioni, caricatori, metal detector, ottiche di precisione e addirittura inneschi con polvere da sparo.
L’arsenale veniva diviso e occultato in dei fusti o bidoni che poi venivano nascosti sotto terra, lontano da occhi indiscreti. Almeno nelle intenzioni poiché cimici e telecamere piazzate dalla Squadra mobile hanno svelato non soltanto i nascondigli ma soprattutto portato alla luce anche un vero e proprio mercato delle armi. A Carmelo Marino (scarcerato e collocato in una comunità) viene addebitata la detenzione di oltre due chilogrammi di hashish e quasi trecento grammi di cocaina occultati nel vano contatori di un condominio mentre nella disponibilità del fratello sono stati rinvenuti 140 grammi di marijuana.