Agrigento

“Agrigento non vuole morire democristiana, ma non è una cosa seria”

Diego Romeo a colloquio con Paolo Cilona: conversazione nella Sicilia agrigentina

Pubblicato 3 anni fa

Considerando tutti i passaggi e gli smottamenti di sedie e poltrone politiche di questi mesi, ho l’impressione che Agrigento non voglia  morire democristiana se i figli dei magnanimi lombi democristiani hanno deciso di andare a letto col nemico. Ritieni che un giorno o l’altro gli agrigentini si ritroveranno con un “cavallo di Troia” sulla spiaggia? 

“La verità è un’altra. Nessuno vuole morire democristiano, comunista o socialista. La città si è sempre adeguata per i suoi interessi a salire sul carro dei vincitori a prescindere l’aspetto ideologico. Liberali con De Luca, clericali con padre Sclafani, fascisti, democristiani, forzisti di Berlusconi, e così via”.

Lo chiedo a te che sei stato un dirigente socialista, ma non è che per caso Agrigento non voglia morire  manco comunista o socialista? 

“La città da sempre ha ritenuto opportuno sperare nel nuovo. Purtroppo i risultati sono sotto gli occhi di noi. Senza coerenza ideologica e di lotta, Agrigento resterà relegata agli ultimi posti delle famose graduatorie che vengono ogni anno rese note”.

Nelle nostre conversazioni di solito non usiamo troppi giri di parole, per questo ti chiedo se questo governo Draghi rappresenti una catastrofe politica per noi siciliani privo com’è di figure sicule e ripieno del Partito del Nord. E poi pensi che i vari Armao, Bartolozzi, Gallo, Di Mauro, Cancelleri abbiano la volontà e capacità di dialogare col ministro per il sud, Mara Carfagna, e sottoporle i nostri irrisolti cahiers? Forse anche tu avrai notato che il dibattito sul Mezzogiorno si ferma, bene che vada, allo Stretto di Messina il cui ponte è stato abrogato dal governo Monti. Ha ragione Mannino quando dice “i dirigenti dei partiti siciliani contano poco”?  

“È ancora presto dare un giudizio sull’operato del Governo Draghi. La composizione dei ministri quasi tutti del lombardo-Veneto fanno pensare che a godere dei provvedimenti di governo saranno con molta probabilità a vantaggio della parte più forte del Paese. Staremo a vedere in corsa d’opera. Per esprimere in modo sereno un giudizio politico per quanto riguarda il ruolo della deputazione siciliana sarà del tutto ininfluente come è avvenuto nel passato. Ha ragione Lillo Mannino quando dice che i dirigenti dei partiti siciliani contano poco. La storia al riguardo è lunga. All’indomani della prima Assemblea regionale siciliana un nutrito gruppo di esponenti presero in mano le redini della Sicilia con riforme importanti. E qui vengono alla ribalta personaggi importanti come Giuseppe Alessi, Franco Restivo, Giuseppe La Loggia per la Democrazia cristiana, Franchina e Corallo pe Il partito socialista, Renda, Sessa, per i comunisti. La regione si muoveva per dare concretezza all’istituto autonomistico. Poi questi insigni esponenti seppure alcuni di loro abbiano ricoperto incarichi ministeriali costituivano solamente dei numeri al parlamento nazionale. Una sudditanza ai poteri forti della politica e dell’economia. Abbiamo perduto tutto anche i benefici dovuti all’articolo 38. Ora qualcuno dei novelli critici dovrebbe elencare le opere da loro realizzate. Niente di niente, caro Mannino”.

La ministra Carfagna ha nominato consigliere per il sud e la coesione territoriale, Camillo Falasca. Un tipo duro che sa quello che dice. Infatti il 14 luglio del 2016 scriveva sul “Foglio”: “L’arretratezza del Mezzogiorno è troppo spesso un alibi, una scusa chiavi in mano pronta a essere usata…pensare che oggi possano essere sbandierate le stesse ricette fallite come panacea dei mali attuali, è illusione o quantomeno disonestà. Innanzitutto perché dovremmo chiederci quante responsabilità abbiano la società meridionale e la classe politica locale eletta con oceani di preferenze dagli elettori meridionali nell’utilizzo delle risorse pompate dal dopoguerra a oggi. E’ antipatico dirlo e politicamente impopolare, eppure è l’unica chance per squarciare il velo dell’ipocrisia e della retorica…”

“Da siciliani chiediamo infrastrutture, nuovi collegamenti con le aree interne, potenziamento dei porti, la costruzione dell’autostrada Palermo-Agrigento, Mazara del Vallo – Gela. L’aeroporto di Agrigento che consentirebbe a 5 milioni di persone di visitare la Valle dei Templi. Il ponte costituisce l’eco per chiudere la bocca ai siciliani.  La pandemia ha messo al nudo la grave situazione in cui versa la sanità pubblica. Occorre ridare univocita’ operativa allo Stato togliendo le competenze alle regioni. Troppe ordinanze, troppi colonnelli”.

L’associazione “Servire Agrigento” è stata l’unica a inviare a Draghi una petizione per la Sicilia. Mentre altri, come il GAL (Gruppi azione locale) dove nei giorni scorsi c’è stato un prevedibile passaggio di dirigenze e consulenze non hanno mai sollecitato un aeroporto. Eppure nel loro comunicato scrivono che “sarà nostro obiettivo collegare questa parte di Sicilia con l’Europa della Next Generation EU”. Parole della neo presidente Maria Grazia Brandara. Dall’altro lato della barricata il vicepresidente Regione Sicilia, Roberto Di Mauro, rimarca che “con Forza Italia e Gianfranco Miccichè, i rapporti continuano a essere cordiali e improntati alla massima collaborazione per far uscire dalla crisi economica e sanitaria i siciliani”. Che ne dici? Ammesso che riescano a dialogare fra di loro ce la faranno almeno “via mare” o con trasporto “su gomma”? :

“Le disfunzioni sono sotto gli occhi di tutti, bisogna avere il coraggio di cambiare le regole. La Sicilia, in atto, è in ritardo sui vaccini con grave pericolo per gli ottantenni ancora in lista d’attesa. I debiti sulla sanità sono enormi e per questo occorre intervenire tempestivamente. Il tempo in cui vigeva la tanto criticata Cassa per il Mezzogiorno le regioni meridionali attingevano cospicui finanziamenti per la realizzazione di opere primarie come condotte idriche, fognarie, elettriche. Un ministero vero e proprio che esercitava un ruolo di supplenza nei confronti di uno Stato che privilegiava le regioni del centro nord. Quando si scoprì la crisi economica e finanziaria del Paese, i potentati della politica e della finanza decisero lo scioglimento della Cassa per il Mezzogiorno, unica e certa risorsa per le regioni meridionali. E così furono lasciate fuori dalle risorse di bilancio. Il ministero per il Sud non ha un proprio portafoglio di spesa, per cui tutto diventa aleatorio. Le popolazioni meridionali, i partiti, i sindacati dovevano difendere la Cassa per il Mezzogiorno, invece le somme ad essa destinate andarono nel calderone dello Stato per essere impiegate dalle regioni del nord. Questa è la pura verità. Per quanto attiene alla pomposa cabina di regia occorre individuare tra i temi più impellenti quello dell’aeroporto, purché non siano le solite promesse che non saranno mantenute”.

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