Estorsioni a Porto Empedocle: Peppe Migliara fa scena muta davanti al Gip
Riemerge il passato oscuro dell'indagato: Cosa nostra voleva ucciderlo
Interrogatorio di garanzia stamani, in video conferenza, per Giuseppe Migliara, 61 anni, Filippo Freddoneve, 59 anni e del figlio Giuseppe, 34 anni, arrestati dai poliziotti della Squadra mobile di Agrigento guidati da Giovanni Minardi, con l’accusa di tentata estorsione ai danni di tre imprenditori: due del settore raccolta rifiuti ed uno edile. I tre indagati avrebbero provato a intimidire e imporre assunzioni di amici e familiari, con messaggi minacciosi anche inviati su whatsapp, oltre a retribuzioni non dovute e rescissioni di contratti di locazione. I fatti sarebbero andati avanti dal dicembre del 2019 fino allo scorso agosto.
A condurre l’interrogatorio di garanzia è stato il Gip di Palermo, Filippo Serio, che aveva firmato il provvedimento restrittivo concedendo agli indagati gli arresti domiciliari con l’applicazione del braccialetto elettronico. Lo stesso Gip nella parte motiva del suo provvedimento aveva escluso l’aggravante del metodo mafioso.
Giuseppe Migliara, assistito dall’avvocato Antonino Gaziano, da Bergamo dove si trovava in video-collegamento, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Identica decisione ha adottato il cognato Filippo Freddoneve (assistito dall’avvocato Rosario Fiore) che ha preferito la strada del silenzio per imbastire una difesa più ragionata.
Ha risposto alle domande del Gip, invece, Giuseppe Freddoneve, assistito dagli avvocati Rosario Fiore e Daniela Principato, proclamando la sua innocenza rispetto agli addebiti mossi.
Da oggi l’intera vicenda giudiziaria verrà trasferita ad Agrigento, perché dopo l’esclusione della valenza mafiosa delle accuse la competenza passa alla Procura della Repubblica di Agrigento per l’ulteriore corso.
Personaggio chiave dell’intera vicenda giudiziaria è senza dubbio Giuseppe Migliara sia per gli elementi racconti nella presente indagine sia per i suoi trascorsi giudiziari.
Migliara ad inizio degli anni 90 rimase coinvolto in diverse vicende legate a rapine e sospettato anche di aver compiuto un’intimidazione ai danni di un ispettore di polizia (pistolettate all’auto) e finì persino nel mirino di Cosa nostra di Porto Empedocle che aveva deciso di ammazzarlo perché, come raccontò il pentito Pasquale Salemi (recentemente scomparso) stava per provocare l’arresto degli assassini del maresciallo Guazzelli.
Disse Salemi ai Pubblici ministeri: “Quando venne commesso l’omicidio Guazzelli io mi trovavo ad Alessandria della Rocca al soggiorno obbligato. Un mesetto prima del delitto venne a trovarmi ad Alessandria della Rocca Alfonso Falzone per consegnarmi una somma di denaro. In quella occasione mi disse che stavano preparando un “grosso lavoro” specificandomi che dovevano uccidere un esponente delle Forze dell’ordine e precisandomi che si trattava del maresciallo Guazzelli. La morte del maresciallo, per quanto mi venne riferito, era stata decisa in quanto era uno che conosceva tutta la storia della mafia agrigentina ed era pericoloso. Inoltre dava particolari fastidi a Lombardozzi e a Salvatore Fragapane. Falzone mi disse che si trattava di una questione “delicata” e “ riservatissima” che dovevano sapere in pochi. Quando tornai a Porto Empedocle, Falzone mi mise al corrente di alcuni particolari relativi all’omicidio. Così mi disse che i killer erano stati Salvatore Castronovo, il quale guidava l’autovettura Fiorino usata per il delitto, Giuseppe Fanara ed un’altra persona che in questo momento non so indicare. Dico meglio sono certo che sia stata una di queste due: lo stesso Falzone o Giuseppe Gambacorta, però non sono in grado di indicarlo con certezza. Il Falzone mi disse che Giuseppe Fanara nell’azione era scivolato facendosi male ad un ginocchio e che a momenti venivano sorpresi dalle forze dell’ordine in quanto poco prima dell’omicidio era stata commessa una rapina a Montallegro, per la quale si era alzato in volo un elicottero che poi, avvenuto l’omicidio, si era recato a sorvolare la zona. Falzone mi disse ancora che il Fiorino era stato lasciato nella zona di San Leone e che volevano prendersela con Giuseppe Migliara, autore della rapina sopra cennata, in quanto per causa sua avevano corso il rischio di essere catturati. Tra l’altro Migliara, diverso tempo dopo, aveva sparato dei colpi di fucile contro l’auto di un ispettore di Polizia di Porto Empedocle. Per tale motivo le Forze dell’ordine effettuarono numerose perquisizioni creando fastidi “alla nostra famiglia”. Si stabilì pertanto che Migliara e suo fratello dovevano morire. Poiché io conoscevo il Migliara gli consigliai di andarsene precisandogli che lo volevano uccidere. Migliara si recò da Luigi Putrone dicendogli che lui ed i suoi familiari sapevano che lo voleva uccidere e che se fosse morto avrebbero saputo tutti a chi addebitare l’omicidio. Putrone seppe dallo stesso Migliara che ero stato io a confidargli l’intenzione di ammazzarlo. Non mi disse niente, ma so “che se l’è serbata”.