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Il clan di Villaseta e la droga alle cosche mafiose di Palermo, 42 indagati 

I vertici della cosca di Villaseta sono accusati di aver ceduto stupefacente, per un ammontare di 384mila euro, ai boss del mandamento mafioso di San Lorenzo/Tommaso Natale

Pubblicato 58 minuti fa

La Direzione distrettuale antimafia di Palermo ha notificato l’avviso di conclusione indagini nei confronti di 42 persone coinvolte – a vario titolo – nella maxi inchiesta che ha portato all’azzeramento di quattro mandamenti mafiosi storici del capoluogo siciliano. La maxi operazione – scattata otto mesi fa – culminò con l’arresto di ben 181 persone. Il provvedimento è firmato dai pm Giovanni Antoci, Felice De Benedittis e Andrea Fusco. 

In questo segmento investigativo risultano indagati anche i vertici del clan mafioso di Villaseta: Pietro Capraro, 40 anni, ritenuto il boss della cosca (difeso dall’avvocato Riccardo Balatri); Gaetano Licata, 41 anni, considerato il vicecapo (difeso dall’avvocato Salvatore Cusumano); Gabriele Minio, 36 anni, che gli inquirenti ritengono uno degli affiliati (difeso dall’avvocato Ninni Giardina). I tre agrigentini (già arrestati dai carabinieri di Agrigento nel dicembre scorso nell’operazione contro la mafia di Villaseta) sono accusati di aver ceduto diverse partite di stupefacente, per un ammontare complessivo di 384 mila euro, ai boss del mandamento mafioso di San Lorenzo/Tommaso Natale: i fratelli Domenico e Nunzio Serio, Francesco Stagno e Mario Ferrazzano. 

GLI INDAGATI

Giuseppe Battaglia, 53 anni, di Palermo; Antonino Binasco, 54 anni, di Palermo; Pietro Capraro, 40 anni, di Agrigento; Marco Cernigliaro, 37 anni, di Palermo; Domenico Ciaramitaro, 51 anni, di Palermo; Emanuele Cosentino, 39 anni, di Palmi; Giovanni Salvatore Cusimano, 77 anni, di Palermo; Antonino De Luca, 55 anni, di Palermo; Mario Ferrazzano, 40 anni, di Palermo; Salvatore Finocchio, 45 anni, di Palermo; Rosario Gennaro, 60 anni, di Palermo; Francesco Iraci, 35 anni, di Palermo; Carmelo La Mattina, 45 anni, di Palermo; Khemais Lausgi, 37 anni, di Palermo; Gaetano Licata, 42 anni, di Agrigento; Giuseppe Lo Coco, 58 anni, di Santa Flavia; Mariano Lo Iacono, 35 anni, di Palermo; Mirko Lo Iacono, 29 anni, di Palermo; Paolo Lo Iacono, 58 anni, di Palermo; Salvatore Lombardo, 40 anni, di Palermo; Angelo Maranzano, 21 anni, di Palermo; Carmelo Maranzano, 32 anni, di Palermo; Antonino Mazza, 52 anni, di Palermo; Francesco Militano, 37 anni, di Palermo; Gabriele Minio, 37 anni, di Agrigento; Salvatore Randazzo, 58 anni, di Palermo; Filippo Raneri, 39 anni, di Palermo; Gennaro Riccobono, 64 anni, di Palermo; Amedeo Romeo, 49 anni, di Palermo; Guglielmo Rubino, 48 anni, di Palermo; Salvatore Ruvolo, 40 anni, di Palermo; Francesco Scarpisi, 45 anni, di Palermo; Girolamo Alessio Semprecondio, 26 anni, di Palermo; Domenico Serio, 49 anni, di Palermo; Nunzio Serio, 48 anni, di Palermo; Salvatore Serio, 45 anni, di Palermo; Gianluca Spanu, 38 anni, di Palermo; Tommaso Spataro, 32 anni, di Palermo; Francesco Stagno, 39 anni, di Palermo; Salvatore Varsalona, 58 anni, di Palermo; Luisa Vattiato, 33 anni, di Palermo. 

Per la Direzione distrettuale antimafia il clan di Villaseta avrebbe avuto costanti rapporti con esponenti di primo piano del mandamento di San Lorenzo, oggi guidato dai fratelli Serio, luogotenenti del boss Salvatore Lo Piccolo. La cosca di Villaseta guidata dal capomafia Capraro si sarebbe ritagliato un ruolo da protagonista nelle rotte del narcotraffico siciliano, diventando almeno negli ultimi due anni il principale fornitore di stupefacenti di molte delle storiche cosche palermitane. Il clan di Villaseta, dunque, era diventato il principale rifornitore di stupefacente nel capoluogo siciliano. Un vorticoso giro di affari con una triangolazione Agrigento–Calabria–Palermo. La cosca agrigentina vendeva la droga agli storici mandamenti palermitani: Brancaccio, Porta Nuova e, soprattutto, Tommaso Natale/San Lorenzo. Proprio con quest’ultima articolazione mafiosa, un tempo feudo del potentissimo boss Salvatore Lo Piccolo oggi guidato dai fratelli Nunzio e Domenico Serio, si era creato un asse privilegiato con la vendita di stupefacente per quasi mezzo milione di euro. 

Il rapporto tra le due cosche si irrigidisce però quando i palermitani non saldano la rimanenza di un debito per una partita di stupefacente di oltre 380 mila euro. “Ballano” quattromila euro e la somma, nonostante diversi incontri, non viene pagata. Così Capraro decide di interrompere la fornitura. Il colpo viene accusato dal mandamento “Tommaso Natale” che subisce un forte rallentamento degli affari. Una situazione che non piace al capomandamento Nunzio Serio, alias “Iachinu”, fedelissimo del boss Lo Piccolo: “fratello Nunzio non era rimasto tanto contento di “ragno” (l’alias di Pietro Capraro) e lui stesso … perchè praticamente … una volta che stavano recuperando … recuperando nel conto … lui non mandò più niente … … e lo bloccò totalmente”. Così il clan di Villaseta, per cercare di recuperare il debito, chiama in causa esponenti di rilievo del mandamento di Porta Nuova. Uno di loro – Stefano Comandè – interviene per conto del boss Tommaso Lo Presti, alias “u pacchiuni”. Lo Presti è un pezzo da novanta della mafia palermitana, tornato in libertà da poco, passato di recente alle cronache per aver festeggiato le nozze d’argento nella chiesa che ospita i resti del giudice Giovanni Falcone. Lo Presti è il “papà”, “colui che ha in mano le chiavi”. 

La situazione si deve sistemare e Comandè invita uno dei sodali di Tommaso Natale a saldare il debito: “ quando mi dici tu io intervengo … mi dice … eventualmente ci dobbiamo incontrare tutti, sicuramente e si mette un punto, un punto … anche un impegno minimo Ma’… mille euro al mese e si leva …” Un dato che per gli inquirenti testimonia il solido rapporto tra la cosca di Villaseta e quella di Porta Nuova. Comandè, intercettato, riporta le parole che si era scambiato con Capraro: “noi siamo una cosa sola, “papà” gli mostra anche … che “papà” …. gli mostra anche affetti di riflesso tramite noi e questo è tutto fratello. Tipo lui gli mostra affetto tramite noi … lui … lui dice: che giunge a noi … questo è tutto frate’… che giunge a noi … dimmi … dammi due, tre minuti … aspetto a te tranquillo. Gli ho detto io frate’.” Secondo la Dda di Palermo, dunque, il Capraro aveva rimarcato che “loro”, ovvero la componente mafiosa agrigentina e quella di Porta Nuova fossero “una cosa sola” e legati da un reciproco affetto con quello che il Comandè indicava con il termine “papà” ovvero un soggetto a lui stesso sovraordinato che altro non può che essere che Tommaso Lo Presti. 

La situazione si risolverà con l’impegno dell’esponente del mandamento di Tommaso Natale a saldare il debito. L’uomo, però, aggiungeva il disappunto per l’intervento dei mafiosi di Porta Nuova che stavano prendendo le parti degli agrigentini: “no … e qua stiamo facendo e … e … e … e stiamo prendendo le difese a quelli di fuori che mi fa pure l’usura …”

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