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Inchiesta appalti e corruzione in Sicilia: ecco perché non è stato arrestato il capogruppo Dc, Carmelo Pace

"Gli elementi investigativi raccolti non risultano sufficienti a comprovare, sia pure nei limiti della probatio minor, l'assunto accusatorio".

Pubblicato 8 minuti fa

L’indagine che ha portato il Gip di Palermo a decidere per gli arresti domiciliari dell’ex presidente della Regione Siciliana Totò Cuffaro si riferisce alla presunta “ingerenza nelle nomine di dirigenti e funzionari negli enti amministrativi regionali operanti nei settori nevralgici della sanità, degli appalti e delle opere pubbliche” e, spiegano gli investigatori, al suo “diretto coinvolgimento nella conclusione di accordi corruttivi stipulati nell’ambito di gare e concorsi pubblici, tra l’altro e, in particolare, nel settore sanitario”.

Tuttavia, la richiesta di misura cautelare (arresti domiciliari) per Antonio Abbonato, Ferdinando Aiello, Paolo Bordonaro, Alessandro Caltagirone, Giuseppa Di Mauro, Vito Fazzino, Sergio Mazzola, Carmelo Pace, capogruppo all’Assemblea regionale Siciliana della Democrazia Cristiana, Paolo Emilio Russo, Giovanni Giuseppe Tomasino e Alessandro Vetro, è stata respinta dal Gip.

Di particolare interesse la posizione di Carmelo Pace – difeso dall’avvocato Lillo Fiorello – deputato regionale, già componente della Commissione antimafia (si è autosospeso immediatamente dopo lo scoppio della vicenda) nonché capogruppo all’Ars della Democrazia Cristiana, accusato, tra l’altro, di associazione per delinquere e corruzione. Per Pace la richiesta di mandarlo ai domiciliari non è stata accolta per le ragioni che si riportano di seguito.

Scrive il Gip, Salustro: “Partendo da tali premesse, va poi osservato che, anche ove, stante la fase cautelare, la trascrizione della conversazione tra Cuffaro e Vetro volesse reputarsi pienamente conforme all’audio, dal contenuto della stessa può desumersi che l’imprenditore avesse consegnato del denaro al co-indagato, in considerazione dei commenti da questi proferiti rispetto al non “meritare” la somma ceduta e dell’insistenza del primo anche per l’eventualità servisse per “un’altra gara”; del pari, può cogliersi chiaramente il riferimento al fatto che Vetro fosse interessato a far pervenire a Tomasino della documentazione relativa a una pratica della quale il direttore, per quanto garantito da Cuffaro, si sarebbe occupato personalmente (“la fa lui”). E tuttavia, non può trascurarsi che, per quanto riportato nell’informativa e nella richiesta e per quanto documentato dalla difesa, in realtà, non vi è prova della partecipazione, da parte di Vetro, con le sue imprese, ad alcuno dei bandi pubblicati dal Consorzio, né prima né dopo la conversazione in esame. Neppure la prova dell’esistenza di un accordo corruttivo tra l’imprenditore e Tomasino può desumersi dalla circostanza che, poco dopo, Pace riferisse a Cuffaro che avrebbe voluto che il direttore conoscesse Vetro quella mattina, trattandosi di dato certamente indiziante ma non connotato da quel grado di gravità in questa sede necessariamente richiesto. Al riguardo si osservi peraltro che, in sede di interrogatorio, Pace ha precisato che avrebbe voluto presentare a Tomasino il suo concittadino Tavormina, pure presente quel giorno presso l’abitazione di Cuffaro, non già l’imprenditore Vetro.

In definitiva, si ritiene di dover concludere nel senso che, almeno allo stato, gli elementi investigativi raccolti non risultano sufficienti a comprovare, sia pure nei limiti della probatio minor, l’assunto accusatorio né quanto alla ricostruzione del fatto, né quanto alla configurabilità del reato di cui all’art. 318 c.p., stante l’assenza di gravi indizi rispetto all’esistenza del pactum sceleris tra il pubblico ufficiale e l’imprenditore. Dall’esame del compendio indiziario appare più verosimile che il denaro consegnato da Vetro a Cuffaro fosse il prezzo di una mediazione illecita onerosa che questi avrebbe potuto eventualmente porre in essere, sfruttando la conoscenza col pubblico ufficiale Tomasino o con altro pubblico ufficiale, al fine di indurlo a operare in favore e a vantaggio dell’imprenditore Vetro”.

Con riferimento all’associazione per delinquere il Gip scrive: Si contesta a Cuffaro, Raso, Pace e Abbonato di essersi associati tra loro allo scopo di commettere un numero indeterminato di delitti contro la pubblica amministrazione, anche di natura corruttiva, per conseguire indebite utilità di natura economico-patrimoniale, poi reimpiegate nell’attività politica e di intermediazione illecita con le pubbliche amministrazioni. Il Pubblico ministero ha ritenuto sussistente fra i quattro indagati un vero e proprio sodalizio, costantemente operativo e impegnato nella realizzazione di un programma criminoso indeterminato, costituito da reati contro la pubblica amministrazione, sviluppatosi attraverso la conclusione di accordi illeciti tra esponenti della classe politica e pubblici ufficiali, da un lato, e privati interessati, dall’altro. In particolare, secondo l’assunto accusatorio, anche attraverso la rete di conoscenze di Cuffaro e degli altri sodali, alimentata dall’aver propiziato le nomine e/o rafforzato la stabilità delle posizioni dei funzionari collocati ai vertici di enti pubblici strategici – come, ma non solo, aziende sanitarie e consorzi di bonifica -, gli indagati avrebbero condizionato la definizione di concorsi, gare, appalti e procedure amministrative in cambio di somme di denaro, assunzioni in aziende, posti di lavoro, contratti di sub-appalto, conseguiti o promessi, e si sarebbero proposti alle imprese e, in generale, ai loro interlocutori quali intermediari, ovvero avrebbero lasciato intendere la possibilità di agire come tali, determinanti per l’aggiudicazione degli appalti banditi dai suddetti enti pubblici, o comunque per la definizione, in modo positivo, di concorsi pubblici e procedure, rimanendo, poi, a disposizione in modo da favorire la massimizzazione dei profitti attesi, anche rimuovendo gli ostacoli idonei a impedire o rallentare gli esiti delle procedure.

Nell’ambito dell’associazione, ad avviso della Procura, sarebbe stato possibile distinguere il ruolo di vertice, attribuibile a Cuffaro; quello di organizzatore, riferibile a Pace, in quanto impegnato nell’organizzazione di rapporti tra privati e funzionari pubblici; Raso e Abbonato sarebbero, invece, stati meri partecipi,

sempre a disposizione per la realizzazione del programma criminoso.

Si ritiene, tuttavia, che gli elementi illustrati non siano idonei, almeno allo stato, a consentire la configurabilità del reato in contestazione. Preme, in tal senso, rammentare che, secondo i parametri dettati in materia dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. 28651/2025), alle figure delittuose associative è stata riconosciuta una funzione di anticipazione della responsabilità penale rispetto alla soglia ordinaria, in ragione della particolare pericolosità costituita proprio dalla forma associativa per la commissione di delitti. Trattasi, in specie, di una responsabilità che discende dall’esistenza dell’associazione in sé, a prescindere dal compimento dei singoli delitti oggetto del programma delittuoso. La sostanza criminosa dell’associazione per delinquere – è stato precisato – ruota intorno all’esistenza di un modulo organizzativo, la cui struttura e la cui consistenza sono tradizionalmente declinate in modo variabile, suscettibile, da una parte, di essere ripetutamente “utilizzato” e, quindi, strumentale, per la commissione di un numero indefinito di delitti e, dall’altra, idoneo alla commissione dei delitti scopo”.

“Orbene – prosegue il Gip Salustro –  nel caso di specie, va osservato che, seppure si condivida l’impostazione accusatoria nella parte in cui mette in luce l’esistenza di una sorta di “metodo” posto in essere costantemente dall’indagato Cuffaro allo scopo di realizzare i propri interessi e si ritengano, altresì, sussistenti vari e interessanti spunti investigativi legati a più vicende nelle quali l’indagato risulta coinvolto, non si reputa del pari che la complessiva lettura dei dati raccolti e finora sottoposti a valutazione possa indurre a concludere nel senso di confermare l’esistenza di un’associazione tra questi e gli altri co-indagati. Sebbene sia indubbia la condivisione di intenti tra i co-indagati, in ragione della adesione a un unico partito politico, così come evidente il perseguimento, in taluni casi, di un interesse politico comune, tanto non può dirsi sufficiente a reputare configurabile l’esistenza di una struttura organizzativa stabile finalizzata alla realizzazione di reati contro la pubblica amministrazione…”.

“Da ultimo – conclude il Gip –  neppure alla luce delle valutazioni già espresse con riferimento alle singole fattispecie di reato in contestazione si reputa di poter condividere l’assunto accusatorio, non essendo rintracciabili dati utili a reputare che, dietro il sia pur innegabile rapporto di collaborazione tra Cuffaro e ciascuno degli altri co-indagati, vi fosse una consapevole manifestazione di intenti ovvero la predisposizione di mezzi e risorse funzionale alla prospettiva di realizzare una serie indeterminata di reati, o ancora un’attività di pianificazione compartecipata delle varie procedure di gara. Non può dirsi, in tal senso, dirimente la considerazione, sia pure espressa dal Pubblico ministero, che vi fosse anche in capo agli altri co-indagati la piena consapevolezza delle dinamiche innescate da Cuffaro e del metodo da questi utilizzato per ottenere il favore dei pubblici ufficiali ovvero che costoro avessero contezza degli sviluppi di singole vicende, potendo tutt’al più tanto valutarsi quale contributo qualificato per la commissione di singoli reati. Manca, inoltre, quel dato tipico del sodalizio che si concretizza nella intercambiabilità dei ruoli e nel riconoscimento anche dall’esterno del singolo come parte di un gruppo. In definitiva, pertanto, per tutti gli indagati, la richiesta cautelare va rigettata”.

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