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La collaborazione (e i pizzini) del faccendiere agrigentino che sta facendo tremare il mondo della sanità

La notizia del percorso di collaborazione avviato dal faccendiere agrigentino Salvatore Manganaro, 44enne di Canicattì coinvolto nella maxi inchiesta sulla sanità siciliana, arricchisce di un ulteriore e inedito capitolo la già complessa indagine “Sorella Sanità” che mira a rivelare trame oscure fatte di tangenti e patti segreti tra politica e mondo della sanità regionale.  Dopo […]

Pubblicato 4 anni fa

La notizia del percorso di collaborazione avviato dal faccendiere agrigentino Salvatore Manganaro, 44enne di Canicattì coinvolto nella maxi inchiesta sulla sanità siciliana, arricchisce di un ulteriore e inedito capitolo la già complessa indagine “Sorella Sanità” che mira a rivelare trame oscure fatte di tangenti e patti segreti tra politica e mondo della sanità regionale. 

Dopo un primo e a tratti vago interrogatorio Manganaro decide di ripresentarsi davanti i pm Giovanni Antoci e Giacomo Brandini affermando che “adesso ho trovato il tempo di riflettere ed ho capito di non aver dato l’impressione di essere stato credibile”.

E’ il 4 luglio scorso e il faccendiere canicattinese inizia a parlare con gli inquirenti descrivendo il sistema delle tangenti celato da fatture false e gonfiate, la gestione di conti intestati a ragazzi di strada, indicando correnti politiche, facendo nomi e cognomi: “Il mio rapporto corruttivo con Damiani nasce nel 2015 in risposta ad altri gruppi di potere che si muovevano all’Asp. Il primo quello di Candela che dapprima faceva riferimento a Misuraca e Forza Italia e per questo diventa direttore amministrativo dell’Asp di Palermo. In contemporanea Taibbi, molto inserito in Forza Italia, si incontra con Candela per il tramite di Renato Schifani (ex presidente del Senato) e Domenico La Spada (medico radiologo). Dopo Candela si avvicina alla componente di Crocetta e Lumia alla quale apparteneva anche il dottor Canzone di Termini Imerese e Taibbi.”

Le dichiarazioni di Manganaro sono adesso al vaglio della magistratura che ne dovrà valutare qualità e attendibilità. Anche alla luce di due episodi in cui il 44enne ha osato molto mostrando alcuni pizzini – l’8 ed il 15 luglio scorso – alla moglie durante un colloquio al carcere di Agrigento dove è detenuto. 

Entrambi i bigliettini – nonostante il tentativo di distruzione – sono stati ricomposti: nel primo si nota (tra le altre) una scritta “stop soldi sul mio c/c”; nel secondo foglio, addirittura, la richiesta di informazioni sui magistrati che stanno indagando su di lui e sul Gip Rosini che ha firmato l’ordinanza. In un secondo interrogatorio Manganaro ha precisato agli stessi giudici: “Ero curioso di conoscere le vostre origini. Il luogo da dove provenite. Mi sono messo nelle vostre mani e quindi ero curioso. Vi chiedo scusa”

Tuttavia, il percorso di collaborazione intrapreso da Manganaro non viene tenuto in considerazione dal pubblici ministeri che lo hanno arrestato. Per il Pm Brandini che l’altro ieri ha discusso avanti al Tribunale della Libertà il ricorso proposto proprio per ottenere un aggravamento delle misure cautelari a carico del canicattinese, non ha mostrato tentennamenti nell’affermare che “Manganaro millanta una collaborazione che nei fatti non c’è. Sinora ha detto ciò che sapevamo tacendo su molte altre circostanze che conosce molto bene e che nasconde”.

I sostituti procuratori non ritengono Manganaro un collaboratore bugiardo. Le cose che ha detto sinora hanno trovato più di un riscontro. Solo che dice, secondo i pubblici ministeri, cose già note che non aiutano la giustizia e che non rendono genuino il percorso di collaborazione che Manganaro ostenta.

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