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La sparatoria a Villaggio Mosè, il Riesame: “Configurabile omicidio per legittima difesa del commerciante” 

Per i giudici del Riesame andrebbe contestato ai tre indagati il tentato omicidio del rivenditore di auto e a quest’ultimo l’omicidio del 37enne per legittima difesa

Pubblicato 3 settimane fa

Con un’articolata ordinanza di oltre venti pagine il tribunale del Riesame di Palermo ha messo nero su bianco le motivazioni con le quali è stato confermato il carcere per i tre indagati protagonisti della sparatoria, culminata con la morte di Roberto Di Falco, avvenuta lo scorso 27 febbraio in una concessionaria a Villaggio Mosè. Il collegio presieduto dal giudice Antonia Pappalardo, con lo stesso provvedimento, ha però annullato l’accusa più grave mossa nei confronti degli indagati: l’omicidio per errore. Una valutazione che riguarda più la forma che il merito.

Il Riesame, infatti, ha condiviso pienamente la ricostruzione storica degli avvenimenti ritenendo inidonea la formulazione del capo di imputazione e, in particolare, la sussistenza della fattispecie di omicidio per errore. Ma bisogna procedere con ordine. I fatti sono noti. Lo scorso 27 febbraio quattro palmesi compiono quella che gli inquirenti ritengono una spedizione punitiva nei confronti di Lillo Zambuto, titolare della concessionaria “AutoXPassione” al Villaggio Mosè. Si tratta di Roberto Di Falco, 37 anni, che perderà la vita in seguito alla sparatoria;  Angelo Di Falco, 39 anni, fratello della vittima; Domenico Avanzato, 36 anni, e Calogero Zarbo, 40 anni (difesi dagli avvocati Santo Lucia, Tony Ragusa e Giovanni Castronovo). Alla base della “punizione” impartita al rivenditore di auto, aggredito nel piazzale della concessionaria, il pagamento di un’auto con un assegno risultato poi scoperto. Durante quei concitati momenti, ripresi in gran parte dalle telecamere, viene estratta una pistola da cui parte un colpo che ferisce mortalmente proprio Roberto Di Falco.

Per la Procura di Agrigento (inchiesta coordinata dal procuratore Giovanni Di Leo e dal sostituto Gaspare Bentivegna) a premere il grilletto è stata la stessa vittima dopo che Zambuto, come dichiarato dallo stesso, era riuscito con una mossa imparata durante il servizio militare a girare la canna dell’arma verso il suo aggressore. Ed è proprio su questo passaggio che il Tribunale del Riesame, in punta di diritto, muove le sue valutazioni. In particolare, per i giudici non può essere contestato ai tre indagati l’omicidio per errore poiché trattasi di una fattispecie che si configura quando “vi sia divergenza tra il voluto ed il realizzato dipendente dal cosiddetto errore-inabilità, cioè un errore materiale relativo alla sola fase di esecuzione”

Il Riesame scrive: “È evidente come non sussista alcuna ipotesi di divergenza tra il voluto e il realizzato; levento morte è stato cagionato dallazione cosciente e volontaria posta in essere dalla vittima designata (Zambuto) la quale, spostando il braccio dellaggressore, ha voluto deviare la direzione dellarma”. Per i giudici del Tribunale della Libertà, dunque, “Dovrà procedersi ad una scomposizione dell’azione delittuosa con conseguente configurabilità di un tentativo di un omicidio nei confronti della vittima designata (Calogero Zambuto) e del reato di omicidio scrutinato dalla legittima difesa perpetrato dallo Zambuto ai danni di Roberto Di Falco.” 

Il Riesame, inoltre, spiega il perchè non possa riqualificare il reato: “Così operando si rischierebbe di attuare una trasformazione radicale della fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali, tale da ingenerare incertezza sulloggetto dellimputazione e pregiudicare il diritto alla difesa.” Inoltre, proseguono i giudici, “non è consentito al Riesame rinvenire una diversa struttura del fatto reato alla base della misura cautelare adottata, in tal modo violandosi il principio del “ne procedat judex ex officio”, con riferimento all’iniziativa in capo al Pubblico ministero al quale compete in modo esclusivo individuare il fatto per il quale intende procedere”. In conclusione: “La mancata corrispondenza tra i fatti storici e quelli specificatamente descritti nell’imputazione provvisoria, impone, pertanto, l’annullamento in parte dell’impugnata ordinanza”. 

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