Mafia, droga e armi a Licata: gli indagati non rispondono al giudice
Nei confronti di quattro indagati arrestati giovedì scorso a margine di perquisizioni a tappeto eseguite tra Licata e Canicattì dalla Squadra mobile
Si sono avvalsi tutti della facoltà di non rispondere e soltanto uno di loro ha comunque rilasciato dichiarazioni spontanee. Sono terminate le udienze di convalida – davanti il gip del tribunale di Agrigento Micaela Raimondo – nei confronti di quattro indagati arrestati giovedì scorso a margine di perquisizioni a tappeto eseguite tra Licata e Canicattì dalla Squadra mobile.
Si tratta di Domenico e Rosario Cusumano, 54 e 26 anni, padre e figlio (difesi dall’avvocato Santo Lucia), e dei fratelli Carmelo e Giacomo Marino (difesi dall’avvocato Gaspare Lombardo), 45 e 52 anni. Tutti sono di Licata. Carmelo Marino, pur avvalendosi della facoltà di non rispondere, ha tuttavia rilasciato dichiarazioni spontanee.
Ai primi tre – detenuti in carcere – viene contestato anche il reato di 416bis, vale a dire mafia. Gli arresti sono scattati in flagranza poiché i poliziotti, eseguendo perquisizioni a tappeto, hanno rinvenuto nelle disponibilità dei Cusumano pistole, fucili, munizioni e denaro. A Carmelo Marino viene addebitata la detenzione di oltre due chilogrammi di hashish e quasi trecento grammi di cocaina occultati nel vano contatori di un condominio mentre nella disponibilità del fratello (ai domiciliari) sono stati rinvenuti 140 grammi di marijuana.
L’inchiesta – coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo – ipotizza i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e armi ma anche minacce e intimidazioni aggravate dal metodo mafioso.