Migranti, Arcivescovo Agrigento Montenegro: “Siamo fieri del nostro Santo nero”
“Siamo fieri del nostro santo nero, ma aumenta il numero di coloro che rifiutano e disprezzano quanti arrivano da altre terre. Senza conoscerli, li definiscono tutti delinquenti e terroristi; molti di loro sono cristiani come noi, allora, mi domando, non potrebbe sbarcare anche qualche santo? Un altro San Calogero, insomma!”. Lo ha detto l’arcivescovo di […]
“Siamo fieri del nostro
santo nero, ma aumenta il numero di coloro che rifiutano e disprezzano quanti
arrivano da altre terre. Senza conoscerli, li definiscono tutti delinquenti e
terroristi; molti di loro sono cristiani come noi, allora, mi domando, non
potrebbe sbarcare anche qualche santo? Un altro San Calogero, insomma!”.
Lo ha detto l’arcivescovo di Agrigento, il cardinale Francesco Montenegro, durante l’omelia della prima domenica di festeggiamenti in onore di San Calogero, compatrono di Agrigento.
Don
Franco non ha nascosto il suo stupore “per il fatto che oggi,
solo perchè non si condivide il pensiero di alcuni, si diventa oggetto di
insulti pesanti – ha spiegato – . Povera
democrazia! Continuando di questo passo si tornerà al Far West, e i segnali ci
sono, quando il prepotente decideva la sorte degli altri. La chiesa ha il
diritto di intervenire sul comportamento dei cattolici? Perchè deve tacere
sull’argomento? Deve insegnare solo preghiere o, come chiede il Vangelo, deve difendere
la dignità delle persone?”.
Ecco
il testo integrale dell’omelia:
Una
premessa. In questo giorno dedicato a S. Calogero, sento il bisogno di dirvi
che condivido le parole pronunciate dal Papa e da molti vescovi, che invece
tanti, che si dichiarano cristiani, contestano. Non vi nascondo il mio stupore per
il fatto che oggi, solo perché non si condivide il pensiero di alcuni, si diventa
oggetto di insulti pesanti. Povera democrazia! Continuando di questo passo si
tornerà al far west (e i segnali ci sono), quando il prepotente decideva la
sorte degli altri. E poi permettetemi una contraddizione di molti agrigentini. Siamo
fieri del nostro santo nero, ma aumenta il numero di coloro che rifiutano e
disprezzano quanti arrivano da altre terre. Senza conoscerli, li definiscono tutti
delinquenti e terroristi; molti di loro sono cristiani come noi, allora, mi
domando, non potrebbe sbarcare anche qualche santo? un altro s. Calogero,
insomma!
La
chiesa ha il diritto di intervenire sul comportamento dei cattolici? Perché deve
tacere sull’argomento? Deve insegnare solo preghiere o, come chiede il Vangelo,
deve difendere la dignità delle persone? Gesù l’ha sempre fatto! La chiesa non
è la continuazione di Cristo oggi? Non deve agire come Lui, ci piaccia o no? Ha
detto Benedetto XVI: «Quando uomini, nello stato più debole e più indifeso
della loro esistenza, sono abbandonati, uccisi, come negare che essi siano
trattati non più come un “qualcuno”, ma come un
“qualcosa”, mettendo così in discussione il concetto stesso di dignità
dell’uomo?»… Queste parole mentre denunciano la pericolosa direzione che sta
prendendo la nostra nazione e l’Europa, contemporaneamente riaffermano il senso
della fede. La chiesa non può non intervenire sui fatti che offendono la vita e
la dignità dell’uomo, soprattutto oggi in cui tanta è la confusione sull’immigrazione,
sulla famiglia, sulla povertà, sulla cultura, sul sociale.
La
chiesa è fedele all’insegnamento di Gesù, se si fa portavoce di quelle istanze
e orientamenti che rimettono al centro dell’attenzione sia i principi della
fede, sia gli stili di vita “sicuramente cristiani”.
La
fede deve incidere – altrimenti potrebbe non essere fede – sul modo di vivere
dei credenti riguardo al rispetto di sé e degli altri, alla famiglia, alla
procreazione, agli atteggiamenti sociali verso la collettività (stranieri, tasse,
finanza, volontariato, pace…). In altre parole, è necessario avere chiaro “il
pacchetto” che fa di un battezzato un autentico cristiano. Non si
possono scegliere gli aspetti della fede che ci piacciono e non tener conto di altri.
Non sono possibili sconti sullo stile di vita del cristiano. Farlo svilirebbe e
inquinerebbe il cristianesimo. La nostra identità cristiana – convinciamoci
– si fonda sugli atteggiamenti concreti di vita. «Non chi dice Padre, Padre,
ma chi fa la sua volontà …». Su questi gesti saremo giudicati: saranno un pezzo
di pane, un bicchiere d’acqua, un vestito, un’accoglienza data o rifiutata, a
farci giocare l’eternità. Se vogliamo vivere
da cristiani, dobbiamo scegliere tra la strada del Maestro e quella proposta
dai sedicenti profeti di oggi. È impossibile seguirle tutte e due!
S.
Calogero ci insegna cos’è il coraggio dell’amore. Lui l’ha vissuto con gli appestati. È un percorso
quello dell’amore che si fa solo se si è uomini di speranza, speranza di un
futuro diverso. Certo, in un mondo come il nostro, appiattito sul presente, la
speranza non è facile, anzi è un bene sempre più raro e fragile che sembra vada
offuscandosi sempre più. Solo se si
spera, si «ama intensamente» (1Pt 1,22).
Lo scopo fondamentale della vita dei cristiani è
l’amore “fraterno”. Probabilmente a noi sfugge l’importanza del
termine “fraterno”. A noi basta sentirci amici, Gesù invece chiede molto di più.
Lui è morto per farci fratelli! L’amico si può scegliere o rifiutare, il
fratello, di sangue o di fede, non si può non accoglierlo. Per diventare amici
basta una pizza, per restare fratelli ci vuole l’Eucaristia. Pietro addirittura
definisce la comunità col
termine di fraternità (cfr 1Pt 2,17), sottolineando così che i cristiani potranno
dirsi figli di Dio se sapranno vivere da fratelli. Questo significa che tutti,
nonostante il colore della pelle, apparteniamo all’unica famiglia di Dio. E’ l’amore
fraterno che annulla ogni differenza, ogni distanza e ogni solitudine. Sentirsi
fratelli significa essere «concordi, capaci di sentimenti comuni,
misericordiosi, umili, non rendere male per male, né ingiuria per ingiuria, ma al contrario
benedicendo, perché a questo siete stati chiamati…» (1Pt 3,8-12). Oggi più che mai, proprio
perché viviamo in un tempo di frammentazione e paura, occorre riscoprire e
vivere la fraternità. Ne va di mezzo la nostra credibilità.
L’ospitalità del forestiero più
che una cortesia o un dovere è un valore sacro. È il gesto che trasforma
l’ostilità in accoglienza, la diffidenza in condivisione, i problemi in
opportunità, il lontano in vicino. C’è da pregare tanto perchè la convivialità
e l’accoglienza diventino cultura e buona politica.
Se è vero
che “l’uomo è quell’animale che seppellisce i propri morti” (Thomas),
abituarsi alla morte dei migranti è dimenticare la nostra umanità. Gli uomini possono
avere il colore della pelle diverso, ma quello del cuore è uguale a tutti; e
poi, non dimentichiamolo, c’è la morte a renderci uguali; la morte dovrebbe
permetterci di pensarci come appartenenti a un’unica comunità, a sentirci
uguali pur nella differenza.
Siamo
caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del levita della parabola:
guardiamo i fratelli mezzo morti per terra, ma continuiamo il nostro cammino, scusandoci
che tocca agli altri intervenire; e qualche volta arriviamo pure a disprezzarli
spietatamente…. Il Vangelo chiede a me e a voi di chinarci “su di lui per
tendergli la mano, senza calcoli, senza timore, con tenerezza e comprensione”.
Non voglio sembrare
patetico, né fare politica come afferma qualcuno a cui questo modo di pensare non
piace (ma perché parlare di immigrati è fare politica e non lo è parlare di
giovani, di droga, di città, di malati…?), ma mi chiedo se oggi Gesù dovesse
ritornare dove potremmo trovarlo? Allora si trovò in una stalla, oggi forse sarebbe
sul fondo di un barcone d’immigrati (in Egitto andò
portato dall’asinello), o in campo profughi. Forse sarebbe il bambino rapito o
pagato per prelevare i suoi organi sani per far guarire i bambini malati dell’occidente
o potrebbe essere oggetto di divertimento sessuale delle così dette persone perbene.
Potremmo trovarlo a giocare tra i liquami di una periferia di una grande città o
ricoverato in un ospedale del terzo mondo, ma senza i pochi euro sufficienti
per un antibiotico o una vaccinazione …
Concludo. Essere cristiani non significa essere
religiosi ma essere più umani, tanto da rassomigliare a Gesù di Nazareth. Non sono
gli atti religiosi a farci cristiani, ma lo schierarsi dalla parte della
sofferenza di Dio nella vita del mondo. Il Vangelo richiede non di fare delle cose,
ma di fare delle scelte. Essere, cioè, come diceva Paolo, «cittadini
degni del Vangelo», cioè persone che trovano nella Parola di Dio la “marcia” in
più per vivere valori come la giustizia, il rispetto, l’onestà, la legalità.
S. Calogero ci dia una mano perchè la nostra
devozione a lui si trasformi in coraggiosa imitazione di lui.