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Sfiorata la guerra di mafia tra i clan di Villaseta e Porto Empedocle

La ricostruzione dei pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Palermo

Pubblicato 1 ora fa

In quasi mille pagine la spiegazione minuziosa della mafia di Agrigento-Villaseta e Porto Empedocle, Così la Direzione distrettuale antimafia di Palermo ha avanzato richiesta di condanna nei confronti di 26 imputati coinvolti a vario titolo nella maxi inchiesta sulle cosche mafiose di Villaseta e Porto Empedocle e su un traffico di stupefacenti in mezza Sicilia. Le pene più alte ( 20 anni di carcere) sono state proposte per i boss Pietro Capraro e Fabrizio Messina – ritenuti rispettivamente al comando della cosca mafiosa di Villaseta e di Porto Empedocle – ma anche per Gaetano Licata, considerato il vice di Capraro e Vincenzo Parla. Quest’ultimo, netturbino di Canicattì, sarebbe il promotore di un’associazione a delinquere finalizzato al traffico di stupefacenti. Otto anni è la pena proposta per Domenico Blando, ex favoreggiatore di Giovanni Brusca, per un giro di droga. Sette anni e quattro mesi, invece, la condanna richiesta per Alessandro Mandracchia, il netturbino ritenuto il custode dell’arsenale del clan di Villaseta.

Ma con la requisitoria dei pubblici ministeri della  Dda di Palermo non solo si chiede la condanna degli imputati ma si spiega a chiarissime lettere, fornendo una fotografia nitidissima, l’attuale composizione delle famiglie mafiose agrigentine ponendo in grande evidenza l’importanza del potere acquisito dalle cosche di Porto Empedocle e Villaseta paventando, con  preoccupazione, il rischio dello scoppio di una guerra micidiale tra i due clan protesi ad ottenere il sopravvento l’uno sull’altro. Ecco come i pubblici ministeri descrivono questo cruciale tassello della mafia agrigentina attualmente al comando dell’intera provincia mafiosa: “La presente richiesta trae origine dalle attività investigative svolte dai Carabinieri del Roni del Comando provinciale di Agrigento aventi ad oggetto anzitutto la ricostruzione dell’organigramma e delle attività criminali delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e di Agrigento/Villaseta. Le indagini hanno infatti consentito di accertare come Messina Fabrizio abbia mantenuto il pieno controllo della famiglia di Porto Empedocle, mentre Capraro Pietro ed il gruppo a lui fedele (composto da Licata Gaetano, Minio Gabriele e Vasile Guido) abbiano nel corso del tempo progressivamente acquisito un ruolo di vertice in seno alla compagine mafiosa di Agrigento/Villaseta, evidentemente approfittando della detenzione in regime di cui all’art 41 bis,  dello storico capo di quella cosca: Antonio Massimino.

La capacità dell’associazione mafiosa di controllare le dinamiche criminali di quei territori è emersa in termini oltremodo evidenti, essendosi raccolti chiari elementi dimostrativi della commissione di numerosi reati (estorsioni, detenzioni di armi, incendi e danneggiamenti) tutti realizzati avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis cp ed al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa cosa nostra. Gli esponenti di vertice delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e Agrigento/Villaseta risultano inoltre avere diretto e promosso due ulteriori distinte associazioni dedite al traffico di sostanza stupefacente che hanno sostanzialmente acquisito (in piena sinergia tra loro) il monopolio di siffatto redditizio settore criminale nella provincia di Agrigento sfruttando la carica intimidatoria derivante dalla comune appartenenza a Cosa nostra. Entrambi i sodalizi criminali hanno peraltro dimostrato di possedere una non comune capacità di approvvigionamento mediante l’attivazione di contatti e rapporti commerciali con altri gruppi criminali sia nazionali che esteri.

Le più recenti risultanze investigative hanno registrato peraltro un’improvvisa ed assai allarmante recrudescenza di atti intimidatori di assoluta gravità, realizzati anche mediante l’utilizzo di armi, della cui disponibilità gli imputati risultano godere in termini pressochè illimitati.

Sebbene le cause di una siffatta fibrillazione siano tuttora in corso di approfondimento, i protagonisti allo stato identificati risultano essere inquadrati negli assetti associativi (o comunque ad essi contigui) ben delineati dalla presente indagine.

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 Una simile spregiudicata recrudescenza non può del resto che essere interpretata anche alla luce dei propositi di realizzazione di azioni intimidatorie ai danni degli esponenti della famiglia di Agrigento/Villaseta che sono stati registrati nel corso dell’indagine per ragioni chiaramente connesse sia al rispetto della “competenza” territoriale (da parte delle diverse famiglie) sul controllo dinamiche criminali, sia ai tentativi di osteggiare l’egemonia del gruppo mafioso allo stato al vertice della famiglia di Agrigento/Villaseta (come detto rappresentato dagli indagati Capraro, Licata, Minio e Vasile). Chiari elementi in tal senso sono emersi, ad esempio, dalle vicende delittuose realizzate ai danni di Marrali Agostino, soggetto in rapporti qualificati con il gruppo mafioso di Villaseta, con il quale tuttavia, nel corso del tempo è entrato in contrasto, tanto da subire l’incendio del proprio furgone con evidenti finalità intimidatorie. Ed è proprio a seguito di questo episodio che il Marrali ha avviato una fitta ed incessante sequenza di comunicazioni telefoniche con il detenuto agrigentino Burgio James; pluripregiudicato esponente di spicco della criminalità organizzata agrigentina, nonché, dato questo di assoluto rilievo investigativo, uomo di assoluta fiducia del capo mafia Massimino Antonio. Ebbene, nel corso di uno di detti colloqui, Marrali (il quale come documentato dalle attività di osservazione della polizia giudiziaria si era nei giorni precedenti effettivamente incontrato con Messina Fabrizio) riferiva di avere incontrato qualche giorno prima Messina Fabrizio che, in merito all’incendio del suo furgone, si era detto completamento all’oscuro e che aveva invero precisato di avere avuto un colloquio animato con Capraro Pietro, dichiarandosi pronto ad intervenire fisicamente contro i villasetani.  E per tutta risposta Burgio James (oggi a sua volta detenuto in regime di 41 bis) affermava che l’unica soluzione era quella di colpire i vari componenti del gruppo di Villaseta e cioè Minio, Donzì e Alù’, responsabili di quanto accaduto qualche sera prima; in particolare suggeriva al Marrali di colpire la sera stessa MinioGabriele e gambizzarlo.Proposito che non veniva realizzato per la mirata presenza di pattuglie delle Forze dell’ordine in zona.

Il livello di tensione nei giorni immediatamente precedenti all’esecuzione del provvedimento di fermo emesso dalla Procura (eseguito il 17 dicembre 2024) risultava essere giunto a livelli talmente elevati da profilare il rischio di una vera e propria guerra(”tanto guerra tra di loro è non vedi che si ammazzano tra di loro …’),così come testualmente affermato il 10 dicembre 2024 da tale Fragapane Stefano che, per sua stessa ammissione, si sarebbe reso autore verosimilmente, come indicato dalla Polizia Giudiziaria, su ordine dell’uomo d’onore Licata Gaetano – di un atto intimidatorio non meglio definito (“a me mi ci hanno mandato… io non so nemmeno per chi era … a me lo zio mi ha detto di andarcie ci sono andato… ‘; e il quale prospettava l’imminente commissione di attentati ai danni di Minio Gabriele.

Altro dato di assoluta rilevanza investigativa, che di per sé offre plastica dimostrazione della capacità delle cosche agrigentine di spendere la propria influenza criminale nonostante le restrizioni connesse allo stato detentivo, si ricava dallo sconcertante e sistematico utilizzo di apparecchi telefonici da parte degli uomini d’onore, o di soggetti contigui al sodalizio, durante i rispettivi periodi di detenzione, ciò che di fatto ne lascia inalterate le capacità di comando, consenteendo loro di mantenere i contatti con i correi in libertà e di impartire ordini e direttive. In tal senso davvero emblematico quanto documentato con riferimento agli indagati Capraro Pietro e Burgio James. A conferma di quanto dedotto si rappresenta che a seguito di perquisizione compiuta in fase di esecuzione del provvedimento di fermo di indiziato di delitto, è stato rinvenuto nella disponibilità del Burgio, detenuto presso la Casa di Reclusione di Augusta un telefono smartphone con relativa scheda telefonica.

In fase di esecuzione del provvedimento di fermo emesso dalla D.D.A., nonché successivamente, sono state disposte ed eseguite plurime perquisizioni che hanno portato – tra l’altro materiale – al sequestro di quantitativi di stupefacente, armi e denaro in capo a più imputati e a soggetti a loro vicini.

Il 21 dicembre 2024 in sede di perquisizione eseguita presso l’abitazione di Prinzivalli Luigi, coniugato con la zia di Capraro Pietro, veniva rinvenuta la somma in contanti di ben euro 79.890, custodita in diversi involucri e suddivisa in banconote di diverso taglio, la cui disponibilità in capo ai coniugi è risultata priva di ogni giustificazione. All’atto del ritrovamento del denaro, il Prinzivalli proferiva imprecazioni anche dicendo “quel bastardo ci ha rovinati”, salvo poi non fornire alcuna ulteriore indicazione.

Analoga attività posta m essere nella medesima data nei confronti di Mandracchia Alessandroportava a rinvenire un vero e proprio arsenale ed, in particolare: due cartucce cal. 7,62, una pistola mitragliatriceMB mod. 1943, una pistola a tamburo marca Taurus, cal. 38 spc./357, un revolverSmith & Wesson cal. 38 spc., un Revolverprivo di marca e matricola, una pistola mono-colpo(cd. Penna-pistola) cal. 22, una granata mod. “M75”, con spoletta inserita e non ancora attivata; due caricatori vuoti per pistola mitragliatrice; un caricatoreper pistola mitragliatrice completo di venticartucce cal. 9×19 parabellum; un caricatore per pistola mitragliatrice da quaranta cartucce, con inseriti ventotto cartucce cal. 9×19 parabellum; diciannove cartucce cal. 22; sessantatré cartucce cal. 9×19 parabellum; trentasette cartucce cal. 38 special; due cartucce calibro 7,65; quaranta cartucce calibro 9xl9.

Si rileva che il precedente 23 novembre 2024 personale della Sezione Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Licata, lungo la SS 115, aveva controllato l’autovettura Fiat Tipo, con alla guida Vasile Guido e con passeggero proprio MandracchiaAlessandro e entrambi venivano trovati in possesso della somma di euro 120.000, somma del tutto incongrua alle loro condizioni reddituali e patrimoniali e da ritenersi evidentemente provento degli affari illeciti gestiti dalla famiglia di Agrigento Villaseta”.

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