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Strage Borsellino, i giudici: “Non è stata la mafia a far sparire l’agenda rossa”

Depositate le motivazioni: "Altri gruppi di potere (diversi da Cosa nostra) interessati all'eliminazione di Paolo Borsellino"

Pubblicato 2 anni fa

I giudici del tribunale di Caltanissetta hanno depositato le motivazioni della sentenza, emessa a luglio scorso, sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Il collegio dichiarò prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti finiti sotto processo per l’inquinamento dell’inchiesta, e assolse il terzo imputato, Michele Ribaudo. Erano imputati di calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia. Il venire meno dell’aggravante determinò la prescrizione del reato di calunnia. Il provvedimento è lungo oltre 1400 pagine. Secondo la Procura, rappresentata in aula dal pm Stefano Luciani, gli imputati, che appartenevano al pool incaricato di indagare sulle stragi del ’92, con la regia del loro capo, Arnaldo La Barbera, poi deceduto, avrebbero creato a tavolino i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta, imbeccandoli e costringendoli a mentire e ad accusare della strage persone poi rivelatesi innocenti: da qui la contestazione di calunnia. Il castello di menzogne costruito grazie ai falsi collaboratori di giustizia avrebbe aiutato, per i pm, i veri colpevoli a farla franca e coperto per anni le responsabilità dei clan mafiosi di Brancaccio e dei suoi capi, i fratelli Graviano. E per questo ai tre poliziotti la Procura imputò l’aggravante di aver favorito Cosa nostra. Aggravante che non resse al vaglio del tribunale e determinò la prescrizione del reato contestato a due dei tre imputati. Il terzo fu assolto nel merito con la formula ‘perchè il fatto non costituisce reato’.

NON È STATA LA MAFIA A FAR SPARIRE L’AGENDA ROSSA

 “L’istruttoria dibattimentale ha consentito di apprezzare una serie di elementi utili a dare concretezza alla tesi della partecipazione (morale e materiale) alla strage di Via D’Amelio di altri soggetti (diversi da Cosa nostra) e/o di gruppi di potere interessati all’ eliminazione di Paolo Borsellino”. Lo scrivono i giudici del tribunale di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Il processo si è concluso con la prescrizione del reato di calunnia aggravato contestato ai poliziotti Bo e Mattei e l’assoluzione del terzo poliziotto imputato, Ribaudo.

STRAGE SIMBOLO DI VERITÀ NASCOSTA

“La ricostruzione del passato è stata spesso manipolata al fine di fornire una interpretazione dei fatti che è funzionale alla tutela di interessi non alti, ma altri rispetto alla ricostruzione autentica di tanti eventi cruciali e cupi degli ultimi decenni di storia del nostro Paese. La strage di via D’Amelio, tragica nel suo esito umano e deflagrante sul piano politico istituzionale dell’epoca in cui si consumò, ne è esempio paradigmatico e pone un tema fondamentale, quello della verità nascosta, o meglio non completamente disvelata”. Lo scrive il tribunale di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza con cui a luglio scorso ha dichiarato prescritta l’accusa di calunnia aggravata dall’aver favorito la mafia contestata a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta, e assolto il terzo imputato, Michele Ribaudo. Il venire meno dell’aggravante ha determinato la prescrizione del reato di calunnia. “L’odierno collegio – spiegano – ritiene che il diritto alla verità possa definirsi un fondamentale diritto della persona umana nell’ambito del quale si fondono, fino a modificarsi geneticamente quando entrano in contatto, sia la prospettiva individuale, delle vittime e dei loro familiari, che quella collettiva”.

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