Agrigento

Vizi privati e pubbliche virtù nell’Agrigento che non muore mai (ft)

Anche in questo “Vizi capitali” c’è il ricorso ad una scorribanda generazionale suggestiva e insolente, provocatoria e costruttiva

Pubblicato 3 anni fa

Dopo lo “scostumato Dyonisos” della compagnia teatrale del Cilento con tutto il bagaglio dell’anarco-radicale Euripide, ecco sulla scena del Teatro di Giunone un’altra solenne provocatoria riflessione: “Vizi capitali” prodotto dalla Fondazione Teatro Pirandello per la regia di Gaetano Aronica e Giovanni Volpe.

Sette vizi capitali, colonne portanti del catechismo cattolico, precipitano nella cauta e conservatrice Agrigento che, come certe vecchie signore, ha visto tempi migliori ricordati dal nostro padre Empedocle: ”L’opulenza e lo splendore della città sono tali, che gli akragantini costruiscono case e templi come se non dovessero morire mai e mangiano come se dovessero morire l’indomani“.    

A queste salutari provocazioni Aronica ci ha abituati da tempo, mettendosi in gioco personalmente e trascinando nel “vortice” gli attori che man nano vengono reclutati nel territorio come necessaria opera di misericordia corporale dopo lo scompaginamento della famosa “Settimana pirandelliana” che addusse “numerosi lutti agli Achei”, ai saltimbanchi e ai capocomici.

Anche in questo “Vizi capitali” c’è il ricorso ad una scorribanda generazionalesuggestiva e insolente, provocatoria e costruttiva che prende le mosse di un dramma giocoso (boccaccesco e shakespeariano) che “castigat mores”. 

Come il “We can be heroes” cantato da David Bowie, mette alla prova la consistenza del nostro “parco” artisti spesso parcheggiati ignominiosamente nell’attesa di un “capocomico” che li valorizzasse.

Se l’anno scorso in una sua “alba” teatrale al Tempio della Concordia, Aronica ci faceva capire quanto bisogno ci fosse oggi per un ritorno a Leonardo Sciascia, a Pasolini, ad Aldo Moro, con un  vero e proprio arrembaggio di passione civile tanto che ci costrinse a titolare “Finalmente il teatro politico risuona nella Valle dei templi”, oggi “il dramma giocoso” ci riporta ai vecchi insegnamenti e ci sembra solo un pretesto” en passant” il ricorso a brani di Puskin grande scrittore russo e massone, a Salieri e Leporello, per finire ad  un Apuleio o un Paracelso che per il loro esoterismo non ebbero bisogno di alcuna loggia.

In tempi in cui il “draghismo” ha livellato vetuste velleità politiche e per questo fanno fatica a sopravvivere il “cartabianesimo” e il “durigonismo”, per Aronica è stato facile inserirsi in questi interstizi e finalmente gridare certe verità

 indicibili. Indubbiamente solo per il fine di “avvicinare gli spiriti”, secondouna vecchia ed ecumenica  strategia messa in atto da Giovanni XXIII quando iniziò a dialogare con musulmani e massoni. Strategia che gli costò polemiche e sospetti a non finire tanto che fino ad oggi Gioele Magaldi di “Massoneria democratica” annovera Papa Roncalli tra i massoni.

Questi “spiriti ravvicinati” vengono sottolineati da Aronica e Volpe nelle loro note di regia quando scrivono che “Le antiche filosofie misteriche sostenevano che i quattro elementi della natura, aria, acqua, terra e fuoco, fossero in stretto collegamento con i quattro liquidi che circolano nel corpo umano, con le quattro età dell’uomo, i quattro temperamenti, le quattro stagioni e cosi via … e che un improvviso disequilibrio fra le parti generasse violenti disordini, in grado di creare distruzione e morte. Dove non è arrivata la natura, nel corso del tempo è arrivato l’uomo, disseminando veleni che mietono, come falci inesorabili, ogni forma di vita. Il grande medico e alchimista Paracelso afferma che il veleno non esiste, che è la dose che fa il veleno. Il riferimento ai virus mortali che hanno attraversato la storia dell’umanità fino ai giorni nostri, risuona sinistro e inquietante. L’uomo ha dentro di sé tutte le risorse per arrivare alla conoscenza e al sommo bene così come al male più profondo, al crimine e alla devastazione. Dunque, se il veleno sta nelle dosi, la salvezza sta nella scelta. Questi veleni sono passati alla storia come Vizi o peccati capitali . Essi non sono altro che i sentimenti dell’uomo, degenerati a causa di un disequilibrio delle dosi, di uno scompenso violento, di un eccesso. Dalle virtù più nobili, dai sentimenti più puri, l’amore per esempio, possono nascere le passioni più violente, che corrodono il cuore dell’uomo e lo condannano alle azioni più turpi e ad una spaventosa solitudine. Ed è questo il teorema dello spettacolo, l’elemento di assoluta novità e necessità che ha imposto la nascita di questo progetto della Fondazione Teatro Pirandello. Sono i sentimenti dell’uomo i veleni più potenti e dalle loro dosi dipende il futuro dell’Umanità. I Vizi capitali non sono altro che virtù in eccesso; virtù dolcissime, pure in apparenza, nel cui cuore è penetrato il nero veleno del male. I personaggi sono ciechi, sordi, muti, ma non immuni, anzi forse più vivi, ma di una vita che brucia nel vizio stesso per il breve tempo della sua durata. Tra forme shakespeariane e chiaroscuri michelangioleschi, Vizi capitali racconta e dipinge questo presente così come si farebbe nel corso di un “Festino in tempo di peste”, celebrato in un galeone fantasma alla deriva. Uno spettacolo rabbioso e selvaggio che capovolge ogni categoria e consegna allo spettatore la folle visione di un mondo diverso, attraverso i sette rimedi che il grande Paracelso contrapponeva ai sette vizi, il cui ultimo risuona come un monito, un grido nella notte di questi tempi scuri: non temere il domani”.  

E appunto “non temere il domani” sarà l’appendice “on the road” che la compagnia della Fondazione Pirandello metterà in scena nell’alba del prossimo 15 agosto lungo la Via dei Templi. Da Giunone al Concordia con gli attori Ilaria Bordenca, Franco Bruno, Silvia Bruno, Emanuele Carlino, Noemi Castronovo, Silvia Frenda, Marcella Lattuca, Fabrizio Milano, Giovanni Moscato, Viola Provenzano, Nicola Puleo e Stefano Trizzino. Costumi di Flavia Cocca.

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