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Pd, l’ultima scommessa delle primarie

di Gaetano Cellura

Pubblicato 1 anno fa

Il voto online dal 3 al 12 febbraio, riservato solo agli iscritti, ridurrà a due (dei quattro attuali) i candidati in corsa per la segreteria del Pd. E dunque il vero banco di prova sulla credibilità delle primarie sarà il voto ai gazebo del 26 febbraio, aperto a tutti i cittadini. Lì si conoscerà il nuovo segretario. E dopo un congresso fin troppo lungo che ha tolto spazio e tempo da dedicare all’opposizione al governo Meloni, che nulla ha prodotto nei suoi primi cento giorni. Banco di prova perché la partecipazione alle precedenti primarie è stata sempre più ridotta, come il numero degli iscritti al partito d’altra parte. E come la generale perdita di entusiasmo e di fiducia di molti militanti o simpatizzanti o semplici elettori delusi da un partito viepiù lontano dal mondo del lavoro, sua naturale base di riferimento.

Delusione diventata grande dopo la sconfitta elettorale di settembre che ha consegnato il governo alla destra. Compito precipuo del nuovo segretario nazionale sarà quello di recuperare il terreno perduto, arrestare il calo del Pd nei sondaggi, rifarne il primo partito dell’opposizione, riacquistare la fiducia perduta di buona parte della sua base e dei tanti elettori che da anni non votano più e di quelli che oggi dicono con malcelata rabbia: “Vi ho votato, ma non intendo farlo ancora”.

Ma su quale base, su quale cambio d’orizzonte deve avvenire questo recupero da parte del nuovo segretario? Intanto saranno importanti i numeri, la partecipazione alle primarie. Se in netto calo come l’ultima volta, non darà al segretario quell’autorevolezza e quella leadership necessarie per sciogliere le tante correnti interne (l’ultimo data room di Milena Gabanelli ci ha fornito l’ampia mappa) e per convincere gli elettori, il popolo della sinistra che da ora in poi si cambia: non più un partito per così dire “ministeriale”, ma una nuova forza politica che seleziona sul territorio i propri candidati al parlamento e determinata a dar valore ai sindaci del Pd, gli unici che sanno vincere le elezioni.

C’è poi, e certamente non ultima, la politica. Con un nuovo profilo riformista e con l’abbandono dell’ultraliberismo. Una politica che torni a rappresentare gli ultimi, come deve fare sempre una forza di sinistra. Le intenzioni sembrano buone, compresa quella di non andare più al governo senza aver prima vinto le elezioni. Ma erano buone anche le intenzioni e le promesse dei candidati alla segreteria delle primarie precedenti. Promesse dimenticate strada facendo. Per cui il vero problema è capire quanta volontà ancora vi sia dentro il Partito democratico di rimboccarsi le maniche dopo anni d’imborghesimento e di ritrovare oggi la passione ideale tipica della sinistra di una volta. Più di un programma. Più di una scommessa.    

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