“Droga e abusi nella comunità Oasi di Emmanuele”, al via interrogatori garanzia
Al centro dell’inchiesta la comunità Oasi di Emmanuele di Favara
Al via sabato mattina, davanti il gip del tribunale di Agrigento Stefano Zammuto, gli interrogatori di garanzia dei due indagati arrestati negli scorsi giorni nell’ambito dell’inchiesta sullo spaccio di droga, e presunti ricatti sessuali, all’interno della comunità per tossicodipendenti “Oasi di Emmanuele”. In carcere sono finiti Chyarl Bennardo, 40 anni di Favara; Carmelo Cusumano, 52 anni di Favara. Il primo è difeso dall’avvocato Salvatore Cusumano mentre il secondo dall’avvocato Fabio Inglima Modica.
Le altre misure cautelari disposte dal giudice sono: Obbligo di dimora per Emanuele Luigi Capraro, 24 anni di Agrigento, difeso dall’avvocato Daniele Re; Gaetano Lombardo, 47 anni di Favara, difeso dall’avvocato Ivana Rigoli; Divieto di dimora in provincia di Agrigento per Paolo Graccione, 45 anni nato in Germania, difeso dall’avvocato Daniela Posante; Fiorella Bennardo, 43 anni di Favara, difesa dall’avvocato Daniela Posante. Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per Giuseppe Papia, 64 anni di Favara, difeso dall’avvocato Daniela Cipolla.
L’attività di indagine condotta dai carabinieri di Favara e dai militari della Compagnia di Agrigento – coordinata dal procuratore della Repubblica facente funzioni Salvatore Vella e dal sostituto procuratore Paola Vetro – è stata avviata nel novembre 2020 e ha preso vita a seguito di diverse segnalazioni, tra le quali una richiesta di aiuto di una donna ospite di una struttura che aveva raccontato di aver subito violenze sessuali e minacce come corrispettivo della vendita di sostanza stupefacente.
Al centro dell’inchiesta, coordinata dal procuratore facente funzioni Salvatore Vella e dal sostituto Paola Vetro, la comunità Oasi di Emmanuele. La struttura, che sulla carta si sarebbe dovuta occupare del recupero di persone con problemi psichici e di tossicodipendenza, si è ben presto rivelata una centrale di spaccio. La droga entrava e usciva con facilità e veniva venduta anche ai pazienti. E chi non riusciva a pagarla veniva “invitato” a saldare il debito con prestazioni sessuali. Tra le contestazioni anche un ricatto a sfondo sessuale con la minaccia di diffondere video e immagini compromettenti. Un vero e proprio inferno documentato in quasi un anno e mezzo di indagini.