Giudiziaria

I traffici di droga della mafia gelese sull’asse Agrigento, Canicattì, Racalmuto e Licata

Gli agrigentini coinvolti avrebbero consentito alla mafia di Gela di espandere significativamente i propri traffici anche in provincia

Pubblicato 2 mesi fa

Settantadue indagati, cinquantaquattro misure cautelari eseguite, perquisizioni e sequestri. Sono gli imponenti numeri dell’operazione  Ianus, l’inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta ed eseguita all’alba dalla polizia di Stato, che ha fatto luce sugli interessi di Cosa nostra e Stidda gelese e su un fiorente traffico di stupefacenti in diverse province siciliane. Anche e soprattutto nell’agrigentino. Ed è proprio l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga il principale reato contestato – a vario titolo – agli agrigentini coinvolti nel blitz. 

Alcuni di loro sono indagati a piede libero, per altri si sono aperte le porte del carcere e altri ancora sono stati raggiunti da misure cautelari quale il divieto di dimora. A firmare il provvedimento è il gip del tribunale di Caltanissetta, Santi Bologna. Tra loro ci sono “vecchie” e “nuove” conoscenze del panorama criminale agrigentino coinvolte nel recente passato in inchieste sul traffico di stupefacenti. Tra gli agrigentini per cui è stata disposta la custodia in carcere ci sono Gianluca Attardo, 42 anni, di Agrigento; Gioacchino Giorgio, 37 anni, di Licata; Diego Milazzo, 29 anni, di Canicattì. Il primo è attualmente imputato per la nota inchiesta “Piramide” mentre il secondo in quella Hybris. Ai domiciliari finiscono: Loredana Marsala, 42 anni, di Canicattì; Morena Milazzo, 37 anni, di Canicattì; Diego Milazzo, 40 anni, di Canicattì. Divieto di dimora in provincia di Agrigento, invece, per Ignazio Agrò, 65 anni, di Racalmuto, e Giuseppe Terrasi, 45 anni, di Agrigento. Un altro indagato, Martin Marius Vasile, originario della Romania ma residente a Canicattì, è finito in carcere. Risultano, invece, indagati a piede libero Giuseppe Alaimo, 29 anni, di Canicattì, e Gioacchino Taibbi, 26 anni, di Canicattì

Agli indagati finiti in carcere o ai domiciliari il gip ha riconosciuto la sussistenza dell’aggravante dell’aver favorito Cosa nostra gelese mentre per gli altri – ed è qui la differenza di applicazione delle misure cautelari – no. A tutti, comunque, viene contestato il reato di associazione a delinquere e, in particolare, di aver fatto parte di un gruppo di pusher che acquistava lo stupefacente direttamente da Giuseppe Pasqualino, alias “Peppe stampella”, ritenuto il luogotenente del reggente della famiglia mafiosa dei Rinzivillo, il boss Giuseppe Tasca. I fatti al centro dell’inchiesta risalgono al 2019. Secondo l’inchiesta della Dda di Caltanissetta, Cosa nostra di Gela era riuscita a ricavarsi una fetta del mercato degli stupefacenti in provincia di Agrigento potendo contare sull’apporto di alcuni sodali. Tra questi spicca il romeno Marius “Mario” Vasile, residente a Canicattì, vero e proprio anello di congiunzione con tutti gli altri agrigentini coinvolti. Per gli inquirenti, dunque, gli agrigentini coinvolti sia autonomamente che in concorso tra loro avrebbero consentito alla mafia di Gela di espandere significativamente i propri traffici anche in provincia e, in particolare, a Racalmuto, Agrigento, Licata e Canicattì

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