Mafia e scommesse online a Licata, l’imprenditore Corvitto resta in carcere
L’imprenditore è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo di attività di intermediazione nella raccolta di gioco e anche estorsione
Il tribunale del Riesame di Palermo, rigettando il ricorso avanzato dagli avvocati Salvatore Pennica e Daniele Ripamonti, hanno confermato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Vincenzo Corvitto, 50 anni, di Licata, imprenditore operante nel settore delle scommesse. Corvitto è il personaggio chiave dell’intera inchiesta “Breaking Bet”, l’indagine coordinata dalla Dda di Palermo ed eseguita dalla Dia di Agrigento, che ha fatto luce sugli interessi della famiglia mafiosa di Licata nel settore delle scommesse online. L’imprenditore Corvitto è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo di attività di intermediazione nella raccolta di gioco e anche estorsione.
L’impianto accusatorio, dunque, regge al primo vaglio. Per gli inquirenti, Corvitto è la tipica figura dell’imprenditore colluso, contiguo agli interessi economici delle famiglie mafiose di Licata e Campobello di Licata. Corvitto, uscito indenne dall’inchiesta Totem da cui è stato assolto dal tribunale di Agrigento, avrebbe stretto un patto con Cosa nostra mettendo a disposizione le sue strutture societarie, assumendo persone vicine alle cosche e contribuendo al sostentamento dei detenuti in carcere in cambio di protezione mafiosa sul territorio che gli avrebbe garantito un ruolo di monopolio nel settore. A Corvitto, inoltre, viene anche contestata una estorsione ai danni di un imprenditore del posto.