Giudiziaria

Montante, depositata sentenza di Appello: “Dossier e ricatti, condizionava la politica”

Lo scrivono i giudici della corte d'appello nella sentenza, depositata 500 giorni dopo la lettura del dispositivo, sul "sistema Montante"

Pubblicato 5 mesi fa

“Montante aveva attivato la sua rete di complici che gli consentivano di accedere alle banche dati della polizia per ottenere informazioni”. Lo scrivono i giudici della corte d’appello nella sentenza, depositata 500 giorni dopo la lettura del dispositivo, sul “sistema Montante”, con il quale l’ex leader di Sicindustria, ed ex responsabile legalità di Confindustria nazionale, Antonello Montante è stato condannato a 8 anni. “Il primo appartenente a questa rete – si legge – era Diego De Simone Perricone, già appartenente alla polizia di Stato, assunto dalla “Aedificatio Spa”, su segnalazione di Montante, società che svolgeva servizi di sicurezza in favore di Confindustria nazionale. Di Simone Perricone, che non poteva più accedere alla banca dati si serviva di Marco De Angelis, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo”.

Secondo i giudici “molti dei dati rinvenuti nella ‘stanza segreta’ dell’abitazione di Montante provenivano da questa attività di accesso illecito”. Gli accessi “venivano effettuati da Salvatore Graceffa, vicesovrintendente della Polizia di Stato, alle quali le richieste pervenivano da De Angelis”. Montante si legge ancora nella sentenza “raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l’uso”, “ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l’uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro”. E ancora, scrivono i giudici “plurime fonti riferiscono che egli si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all’uso”. “Il 15 giugno 2012 veniva nominato direttore dell’Aisi il generale Esposito con il quale Montante aveva un solido rapporto tale da trovare nei servizi un canale di informazioni sulle indagini a suo carico”. Lo scrivono i giudici d’appello nella sentenza che condanna Calogero Montante, detto Antonello, a 8 anni di reclusione, depositata in cancelleria a Caltanissetta il 16 novembre scorso. “In contesti per nulla occulti o riservati erano note non solo la sua capacità di influenza nelle più alte sfere degli ambienti istituzionali ed economici, non tanto del territorio, ma della Regione e del Paese.

Ed era nota anche la sua complessa rete informativa”. Lo scrivono i giudici della Corte d’Appello in riferimento ad Antonello Montante, nella sentenza del processo d’appello con cui l’ex leader di Sicindustria ed ex vicepresidente nazionale e delegato per la legalità di Confindustria, è stato condannato a 8 anni. “Dietro la coltre fumosa della locuzione “sistema” – si legge nella sentenza – tanto spesso utilizzata anche in questo giudizio, nonostante sia più appropriata alla sintesi giornalistica che non all’analisi dei fatti tipici propria della giurisdizione, si perdono i percorsi che conducono ai più qualificati appoggi dei settori politici, istituzionali ed economici che hanno reso Montante una figura strategica con un ruolo di fatto e informale non classificabile nelle ordinarie e più trasparenti categorie della politica, dell’economia e delle istituzioni. Un ruolo che egli avrebbe potuto assicurarsi solo se in sede locale fosse stato in grado di far leva su un suo personale potere di influenza, di condizionamento o di ricatto nelle dinamiche del territorio, ma che, proiettato in sede nazionale (e non solo), non poteva che trovare origine nella corrispondenza strategica tra il suo operato ed altri interessi e obiettivi”. “Egli poteva mostrare – scrivono i giudici – la solida legittimazione a livello locale, vantando il consenso delle autorità e delle rappresentanze sul territorio, e a livello locale poteva guadagnare il consenso delle autorità e delle rappresentanze sul territorio, vantando l’appoggio dei vertici politici e istituzionali a livello nazionale. Egli, peraltro, nel suo interrogatorio, cercando di ridimensionare le sue indubbie abilita politico-relazionali, ha sostenuto di essere stato indotto ad assumere il ruolo che gli veniva riconosciuto dalle autorità”.(ANSA).

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