Agrigento

Scommesse online all’ombra della ndrangheta: chiesto processo per 4 agrigentini

Chiesto processo anche per quattro agrigentini coinvolti nella vicenda

Pubblicato 4 anni fa

La Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ha avanzato la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di 20 persone coinvolte a vario titolo nella maxi inchiesta “Galassia” che nel novembre 2018 ha portato al fermo di 68 persone in tutta Italia e che ipotizza la mano delle organizzazioni criminali dietro il ricchissimo business delle scommesse online. I pm Sara Armenio e Stefano Musolino adesso chiedono il processo anche per quattro agrigentini coinvolti nella vicenda: si tratta di Davide Schembri, 47 anni di Agrigento; Pietro Salvaggio, 58 anni di Ribera; Gino Vincenzo D’Anna, 54 anni di Ribera; Giuseppe Stalteri, 64 anni di Ribera. La prima udienza preliminare si celebrerà il prossimo 14 giugno davanti il gup del Tribunale di Reggio Calabria Giovanna Sergi.

Schembri, già coinvolto nell’operazione “Game Over”, è accusato di essere uno dei promotori dell’organizzazione ma è caduta l’aggravante mafiosa contestatagli inizialmente. Lo scorso ottobre la Direzione Investigativa Antimafia di Agrigento, guidata dal vicequestore Roberto Cilona, ha sequestrato a Schembri beni per un valore di un milione di euro. Secondo le accuse l’agrigentino, già proprietario della Goldbet ad Agrigento, avrebbe gestito una serie di società estere (tra cui l’austriaca BD Group Gmbh) prive di concessione nazionale, che avevano la titolarità di siti internet tra cui “Sportbet75.net” attraverso cui esercitava sul territorio dello Stato la raccolta di puntate su giochi e scommesse ma anche il sito internet “www.dominobet.it”, munito di concessione Gad nazionale, utilizzato secondo gli inquirenti per occultare la parallela raccolta di giochi e scommesse. A tutti gli altri viene contestata l’associazione a delinquere con l’aggravante mafiosa e di essere  nella provincia di Agrigento la longa manus di Lanzafame, promotore dell’organizzazione. Nel collegio difensivo gli avvocati Giovanni Di Caro, Daniela Posante, Nino D’Ascola, Fabrizio e Francesco Siracusano.

IL SISTEMA. Il sistema era semplice e apparentemente legale. Alla base ci sono i centri scommesse, che si dividono in centri di trasmissione dati o punti vendita ricariche. Una differenza solo formale per i clan che hanno interesse nel gioco on line, perché per loro si tratta solo di uno schermo giuridico fittizio dietro cui celare la raccolta illegale di denaro. Da norma, Ctd e Pvr mettono a disposizione del giocatore gli strumenti e i canali informatici necessari per raggiungere la piattaforma aziendale gestita all’estero, ossia devono limitarsi a svolgere una mera attività di agevolazione del contatto commerciale tra il cliente ed i ‘bookmaker’, concessionari esteri, senza avere alcuna possibilità di influenza o intervento sulla scommessa. Insomma, sono una sorta di internet point. Nel mondo del betting targato ‘ndrangheta le cose funzionano in modo differente. Le scommesse si pagano in contanti (e non si può) al singolo centro, che a sua volta apre un fido con conseguenti successive compensazioni delle poste di ‘dare’ ed ‘avere’ (con cadenza mensile, trimestrale o semestrale), a seconda delle vincite accumulate dalla clientela. I siti su cui i giocatori scommettono poi sono totalmente sconosciuti all’Aams, dunque di quel denaro lo Stato (e il Fisco) non hanno traccia alcuna. A gestire i punti scommesse erano i master, uomini di ‘ndrangheta o a loro collegati, spesso con una serie di intermediari. Ciascuno dei componenti della rete vantava dei profitti in percentuale sul totale del giocato; sicché, prima di essere trasferiti all’estero, agli utili derivanti dalla raccolta (al netto delle vincite dei giocatori) erano sottratte le provvigioni spettanti a ciascuno. Talvolta i ‘master’ finanziavano una quota parte delle scommesse condividendo con il ‘bookmaker’ il rischio d’impresa connesso all’andamento delle attività, così partecipando alle vincite e alle perdite nella percentuale pattuita, con il cosiddetto co-banco. Di fatto, si tratta di una società (illecita) tra il ‘bookmaker’ ed il ‘master’, che condividono i rischi economici connessi alla gestione del servizio e che vi conferiscono il primo, il sistema gestionale in remoto ed il secondo, la rete commerciale dedita alla diffusione del prodotto. Il soggetto gerente il servizio dunque non è l’apparente concessionario, ma la società di fatto, che utilizza quella concessione per esercitare l’attività di gestione e raccolta dei giochi e delle scommesse. E tutto questo – perché si tratta di cessione di una concessione – è totalmente illegale.

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