Mafia

Mafia, l’operazione “Nuova cupola” e la mancata cattura di Messina Denaro nel 2012 

La mancata cattura dell’allora superlatitante coincise con quella del capo della mafia agrigentina, Leo Sutera: Teresa Principato, nel libro “Siciliana”, rievoca i passaggi che hanno caratterizzato l’estate torrida, tra accuse e polemiche, del 2012

Pubblicato 2 mesi fa

Il libro di Teresa Principato, “Siciliana”, edito da Rcs, anche questa settimana ci offre lo spunto di ripercorrere attraverso l’esperienza diretta di lotta alla mafia dell’ex procuratore aggiunto di Palermo, ampi percorsi storici che hanno segnato indelebilmente il territorio agrigentino.

Dopo aver descritto minuziosamente la gestione dell’aspirante collaboratore di giustizia Giuseppe Tuzzolino, questa settimana ci occupiamo, sempre attraverso l’esperienza maturata sul campo da Teresa Principato, della mancata cattura dell’allora superlatitante Matteo Messina Denaro che coincise con la contestuale esecuzione di una misura cautelare che portò in carcere il boss di Sambuca di Sicilia, Leo Sutera. Ci riferiamo all’operazione “Nuova cupola”, del giugno 2012, che mise in gattabuia una cinquantina di boss e gregari della provincia di Agrigento ma che  – questo è stato il sospetto non ancora risolto – di fatto consentì al mafioso di Castelvetrano di sfuggire nuovamente alla presa dello Stato.

Furibonde furono in quel periodo le polemiche e le accuse reciproche tra magistrati e che coinvolsero direttamente anche i carabinieri del Raggruppamento operativo speciale, i Ros, che tanto avevano ed hanno dato nella lotta alla criminalità organizzata mafiosa.

La vicenda viene raccontata così dalla protagonista principale, ossia Teresa Principato, nel capitolo dedicato all’allora procuratore della Repubblica di Palermo, Francesco Messineo: “… La prima commissione del Csm avviò a larga maggioranza la procedura di trasferimento d’ufficio di Messineo per incompatibilità, contestandogli, per prima cosa, una gestione debole dell’ufficio, priva della garanzia della necessaria indipendenza del capo. Nell’atto di incolpazione veniva citata l’accusa dell’aggiunto Leonardo Agueci, nella parte in cui lamentava la scarsa circolazione delle informazioni all’interno dell’ufficio, aggiungendo che proprio questo difetto di collegamento sarebbe stato la causa della mancata cattura del latitante Matteo Messina Denaro. A questo, si aggiungevano i rapporti privilegiati che Messineo intratteneva con Antonio Ingroia e che lo avrebbero condizionato nelle sue decisioni. Una situazione, questa, a tutti nota, che avrebbe determinato spaccature e incomprensioni nella procura di Palermo. Il “sospetto” avanzato dal Csm era che Messineo «avesse perso piena indipendenza» nei confronti di Ingroia, il quale per cinque mesi aveva tenuto per sé le intercettazioni che riguardavano il procuratore capo, prima di trasmetterle a Caltanissetta. Le intercettazioni in questione, che poi diedero luogo all’indagine della procura di Caltanissetta a carico di Messineo, furono un’altra contestazione alla base della procedura di trasferimento d’ufficio per il magistrato. Al procuratore di Palermo, infine, venne contestato l’utilizzo non continuo dello strumento dell’astensione rispetto ad alcune inchieste, come quelle che avevano riguardato il cognato e il fratello dello stesso. La commissione formulò le sue accuse dopo che nei mesi precedenti aveva ascoltato numerosi magistrati della Procura palermitana. Dalle loro testimonianze sarebbe emerso anche un clima molto pesante all’interno della Procura, perché Messineo non era riuscito a tenere insieme l’ufficio nel corso della discussa inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. 

Tuttavia, nonostante tali incolpazioni, il Consiglio superiore della magistratura decise di archiviare la procedura sul trasferimento d’ufficio del magistrato per incompatibilità ambientale, «non avendo [egli] perso la capacità di esercitare con piena indipendenza e imparzialità le sue funzioni». 

Infatti, la mancata cattura del boss Matteo Messina Denaro, come vedremo, non sarebbe stata la conseguenza di un «difetto di coordinamento» da parte del procuratore, ma di una «scelta operativa», criticabile ma legittima, dello stesso, che preferì in quel momento assicurare alla giustizia il capo della mafia di Agrigento Leo Sutera, il quale avrebbe potuto portare a rintracciare il boss latitante. A mio avviso, però, tutto quello che accadde prima di questa scelta fu completamente sottovalutato o omesso dal consiglio. Messineo era stato informato dei contatti tra Leo Sutera – ancora sottoposto all’obbligo di dimora – e Messina Denaro, finalizzati alla necessità di una presa di contatto di quest’ultimo con due mafiosi palermitani (poi arrestati nell’ambito di un’altra operazione). Come appreso da intercettazioni ambientali, il contatto era avvenuto: a Leo Sutera, tramite un intermediario, era arrivato un pizzino di Messina Denaro, prima nascosto in un casale diroccato e il giorno dopo letto, come dimostravano le foto effettuate dagli inquirenti. Le indagini sui due vecchi sodali erano durate due anni, avvalendosi, oltre che degli uomini migliori del Ros, di cimici sparse per la campagna, unico luogo in cui i due boss parlavano, nonché di droni concessi dall’aeronautica (sui quali Messineo aveva ironizzato, pensando che fossero un eccesso). Tutto questo era prodromico a una cattura che i fatti facevano ritenere vicina. Non fu nemmeno preso in considerazione, cosa che io stessa riferii al Csm, che quando elencai queste risultanze a Messineo, mi sentii rispondere: «Ma sei sicura che le intercettazioni del Ros riportino effettivamente quello che gli inquisiti hanno detto?». Rimasi veramente disorientata da quella domanda e mi chiesi perché proprio in quel

momento, dopo due anni, veniva espressa quella diffidenza verso il Ros. Da chi e da cosa era stata instillata? Ma ancor più sorpresa rimasi quando il colonnello dei carabinieri Fabio Bottino mi disse di aver visto il procuratore nella sala intercettazioni che si trovava presso l’aula bunker e di essersi offerto lui stesso di fargli sentire le intercettazioni cui sembrava interessato. Subito dopo Messineo convocò me e il mio gruppo di lavoro – nonché quello agrigentino, che stava indagando su un’associazione di estorsori capeggiata, guarda caso, da Sutera – per dirci che i colleghi applicati ad Agrigento erano giunti al termine della stesura della richiesta di custodia cautelare e che bisognava procedere in tal senso. Era preferibile la banda degli estorsori che la prevedibile prossima cattura di Messina Denaro, e naturalmente non si poteva escludere Sutera, che da poco tempo era uscito dal carcere. Da Messineo si recò persino il capo del Ros per chiedergli di ritardare l’operazione agrigentina, ma non ci fu verso. Il procuratore mi chiese se in una settimana sarei stata in grado di catturare Messina Denaro, e io risposi che quella era una domanda che un investigatore non poteva fare, conoscendo quanti intoppi possono nascere nel corso di un’operazione. 

Così, dopo due anni di indagini e notevoli spese per tutti i mezzi impiegati, Messineo diede il via all’operazione agrigentina, ivi compresa, naturalmente, la cattura di Leo Sutera. L’evento che definirei tragicomico fu che il Gip non convalidò gli arresti e nemmeno il Tribunale della libertà, a parte naturalmente quello di Sutera, già pregiudicato per reati associativi. Non conosco il seguito della vicenda, perché non volli più occuparmene, ma investii della questione il Csm e mi rimase l’amaro in bocca e qualche dubbio che proprio l’impiego del Ros nelle investigazioni avesse dato causa a tutto questo. Né riuscii a dimenticare l’aspra critica rivoltami da Ingroia per avere delegato delle indagini al Ros. Quanto alla «soggezione psicologica e professionale» che Messineo avrebbe avuto nei confronti di Ingroia, «è davvero difficile sia affermarla, sia escluderla» scrivevano i consiglieri, ma era comunque una questione «non più attuale», e dunque «irrilevante» ai fini del trasferimento d’ufficio. Ciò in quanto Ingroia, al momento della pronuncia del Csm, aveva già lasciato la procura, prima per trasferirsi in Guatemala e poi per candidarsi in politica. Come dire: il passato è passato. Quando andò in pensione, Messineo ricoprì il posto di commissario straordinario al Comune di Castelvetrano, sciolto per mafia.

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