Giudiziaria

Processo Stato-mafia: Berlusconi sceglie silenzio

Ha seguito le indicazioni dei suoi legali e, di fatto, ha voltato le spalle all’amico di una vita. Nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo è finito oggi un sodalizio lungo oltre 40 anni: affari, amicizia, il progetto politico che portò a Forza Italia, successi, denaro, potere e segreti. Tutto cancellato quando Silvio Berlusconi, ascoltando […]

Pubblicato 4 anni fa

Ha
seguito le indicazioni dei suoi legali e, di fatto, ha voltato le spalle
all’amico di una vita. Nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo è
finito oggi un sodalizio lungo oltre 40 anni: affari, amicizia, il progetto
politico che portò a Forza Italia, successi, denaro, potere e segreti.

Tutto
cancellato quando Silvio Berlusconi, ascoltando il consiglio dei suoi avvocati,
ha comunicato ai giudici di non volere testimoniare a favore del collaboratore
di sempre, Marcello Dell’Utri. Volato a Palermo dopo la citazione della Corte d’assise
d’appello che celebra il processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia che,
tra gli altri, vede imputato l’ex manager di Publitalia, il Cavaliere in aula è
rimasto solo qualche minuto, chiedendo anche di non essere ripreso. Il tempo di
dire alla corte che non avrebbe risposto. Una scelta dei suoi legali, gli
avvocati Coppi e Ghedini, entrambi in aula, probabilmente dettata dal timore
che all’ex premier fossero fatte domande “scomode”. Dalla conoscenza
dei rapporti tra Cosa nostra e Dell’Utri, alle tante vicende giudiziarie che
l’hanno visto protagonista e che sarebbero potute saltar fuori nel tentativo
dell’accusa di minare la sua credibilità come teste. E allora meglio il
silenzio, anche se in ballo c’era l’amico. Anche se in fondo avrebbe dovuto
dire “soltanto” di non essere mai stato minacciato dalla mafia
tramite l’ex manager di Publitalia, “messaggero”, secondo l’accusa,
dell’intimidazione mafiosa mentre era capo del Governo. Anche se il
riconoscimento dello status di teste assistito e la conseguente possibilità di
avvalersi della facoltà di non rispondere, sono passati attraverso
l’ufficializzazione di una notizia fino ad allora rimasta un’indiscrezione: e
cioè che Silvio Berlusconi è indagato a Firenze per le stragi mafiose del ’93.

“Fatti
probatoriamente connessi a quelli del processo”, ha detto la corte quando
ha deciso di ascoltarlo come testimone assistito. Per i giudici di primo grado,
che hanno condannato Dell’Utri a 12 anni per minaccia a Corpo politico dello
Stato, l’ex senatore azzurro avrebbe “informato Berlusconi dei suoi
rapporti con i clan anche dopo l’insediamento del governo da lui presieduto,
perchè solo il premier, avrebbe potuto autorizzare un intervento legislativo
come quello tentato e riferirne a Dell’Utri per tranquillizzare i suoi
interlocutori”.

L’ex
parlamentare sarebbe stato, dunque, la cinghia di trasmissione tra la mafia e
il capo del Governo, condizionandone l’azione nella lotta ai clan. L’ex premier
dal banco dei testi avrebbe dovuto smentire le conclusioni dei magistrati,
confermando quanto da anni ripete e quanto disse a ridosso della sentenza di
primo grado in una intervista acquisita agli atti del processo. E cioè che da
presidente del Consiglio varò  importanti
misure contro la mafia come la stabilizzazione del carcere duro per i mafiosi,
altro che “sconti”. Troppo rischioso evidentemente per i suoi legali.
Mentre la difesa di dell’Utri minimizza: agli atti, ci sono già tutti gli
elementi per dimostrare che l’accusa non sta in piedi.

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