Mafia

Processo “Xydi”, il Pm: “Ecco perchè Buggea è un mafioso di alto rango”

Chiesti 20 anni di reclusione per l'ex compagno dell'avv. Porcello

Pubblicato 3 anni fa

Il processo “Xydi” nelle ultime udienze ha visto per protagonista assoluto il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Palermo Claudio Camilleri che con una requisitoria durissima avanti il Gup del Tribunale di Palermo, Paolo Magro, che celebra il processo (rito abbreviato) e che a breve deciderà le sorti di Angela Porcello e altri 19 imputati, a condanne pesantissime per tutti gli imputati.

20 anni per l’imprenditore ed ex compagno della donna, Giancarlo Bugea, di Campobello di Licata, già condannato per mafia così come per l’anziano boss Calogero Di Caro, 74 anni, capo del mandamento di Canicattì, figura storica della mafia siciliana e già scampato ad un agguato e il settantenne Luigi Boncori, altro capomafia recidivo di Ravanusa.

Le altre richieste di condanna riguardano Giuseppe Grassadonio, appuntato della Polizia penitenziaria (1 anno); Giuseppe Sicilia, boss di Favara (18 anni e 8 mesi); Calogero Paceco (10 anni e 8 mesi); Simone Castello (12 anni); Antonino Oliveri (10 anni e 8 mesi); Diego Cigna (10 anni e 8 mesi); Gregorio Lombardo (12 anni); Giuseppe D’Andrea, poliziotto in servizio fino all’arresto al Commissariato di Canicattì (4 anni); Luigi Carmina (10 anni e 8 mesi); Gianfranco Gaetani (10 anni e 8 mesi); Gaetano Lombardo (10 anni e 8 mesi); Giuseppe Pirrera (2 anni e 8 mesi); Giovanni Nobile (2 anni e 8 mesi); Annalisa Lentini, avvocato canicattinese (2 anni e 4 mesi); Vincenzo Di Caro (2 anni); Giuseppe Giuliana (16 anni e 8 mesi).

La figura di Giancarlo Buggea, per l’accusa personaggio principale dell’intera vicenda mafiosa è stata descritta così dal pm nel corso della requisitoria della quale pubblichiamo un frammento interessante:

L’appartenenza di Giancarlo Buggea a Cosa nostra è stata già definitivamente accertata a seguito del processo celebratosi dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare di Palermo che, con sentenza del 30 novembre 2007 (confermata dalla Corte di Appello di Palermo  il  25 novembre 2009, divenuta  irrevocabile  il  16 dicembre  2010),  lo condannava ad anni 8 di reclusione, avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all’art 416 bis cp e di altri reati fine commessi in provincia di Agrigento sino al  19 agosto 2005.

Scarcerato il 28 dicembre 2012, il 13 luglio 2015 veniva  sottoposto  alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S con obbligo di soggiorno nel comune di Canicattì per la durata di anni 1 e mesi sei, inflittagli congiuntamen te alla misura di prevenzione patrimoniale dal Tribunale di Agrigento con decreto del 15 maggio 2015 (confermato dalla Corte di Appello ed irrevocabile il 15 marzo 2018).

Oltre che nei citati provvedimenti giudiziari, che diffusamente ne illustrano il rilevante profilo criminale  all’interno di Cosa nostra, lo storico rapporto da sempre intercorso tra il capo della provincia mafiosa Giuseppe Falsone ed il Buggea è stato efficacemente tratteggiato proprio dal collaboratore di giustizia Maurizio Di Gati (già capo della provincia mafiosa di Agrigento) il quale oltre a indicare il Buggea quale uomo d’onore “componente del gruppo di fuoco di cui il Falsone si serviva per compiere omicidi”, ne ha evidenziato l’assoluta fiducia che l’intera Cosa nostra aveva nel canicattinese, al punto che nell’ottobre del 2003 il luogo prescelto ove tenere una delle riunioni più importanti della storia mafiosa della provincia agrigentina era stato proprio la casa di Buggea, ove i massimi esponenti di cosa nostra ratificarono la nomina al vertice della provincia dello stesso Falsone.

Affermava Di Gati nel dicembre 2006: “Il rappresentante provinciale è oggi Giuseppe Falsone per volontà di Provenzano, successiva all’operazione Cupola ed all’omicidio di Milioti. C’è stata una riunione nel mese di ottobre 2003, comunque 15 giorni dopo l’arresto di mio fratello Beniamino e Di Caro Calogero, a casa di Giancarlo Buggea con Gerlando Messina, Falsone Giuseppe di Campobello Licata  e c’era un certo Zù Ignazio forse Accursio, lo stesso Buggea, Antonio Vaccaro di Favara, Parello Vincenzo di Favara, Giuseppe Capizzi di Ribera, Lombardozzi Cesare di Agrigento, Angelo Di Bella di Canicattì, Pasquale Cardella di Licata, Antonino Iacono di Giardina Gallotti. Prima di questa riunione Provenzano aveva già dato il benestare per la nomina di Falsone”.

La precedente accertata partecipazione a cosa nostra sino all’agosto 2005 esonera, dunque, dalla dimostrazione dell’intraneità del Buggea all’associazione – già certificata dalla menzionata sentenza irrevocabile – e onera questo Ufficio esclusivamente della prova che questi, ritornato in libertà nel 2012, abbia posto in essere condotte penalmente rilevanti e sintomatiche del suo contributo al sodalizio mafioso in epoche successive alle condanne riportate.

Ebbene, alla luce delle plurime risultanze raccolte, tale onere può certamente ritenersi assolto, ben potendosi, da quanto  emerso  nel  presente procedimento, affermare con assoluta evidenza come il predetto Buggea, ben lungi dal rescindere i profondi legami con l’associazione criminale, dopo il periodo di detenzione subito in espiazione della predetta sentenza di condanna, abbia immediatamen te ripreso la propria posizione all’interno del sodalizio.

Anzi, le indagini svolte hanno, invero, rivelato una sua progressiva ascesa all’interno delle gerarchie dell’associazione, tanto da giungere ad essere univocamente riconosciuto  come uno degli esponenti mafiosi  più  importanti e carismatici di tutta  Cosa nostra, costantemente ricercato per la trattazione di affari di interesse dell’intera associazione nonché per la risoluzione di diatribe ad essa interne sia da esponenti di vertice delle altre  province mafiose (Palermo, Trapani, Caltanissetta e Catania), sia da rappresentanti  di cosa nostra americana ed in particolare della famiglia  Gambino.

Al sol fine di tratteggiare la figura del  Buggea per come emersa dalle investigazioni svolte nel presente procedimento possono da subito anticiparsi alcuni passaggi delle innumerevoli intercettazioni che, oltre ad uno straordinario rilievo probatorio, offrono anche una rappresentazione unica e fotografica della sua ontologica adesione a Cosa nostra.

A cominciare dall’espressione da lui pronunciata nel corso di una riunione intercettata il 13 gennaio 2020, durante la quale egli rivendicava la sua funzione nevralgica svolta all’interno dell’associazione mafiosa: “…io sono la Svizzera … può venire chiunque e sono per la pace, ed il crocifisso l’ho appeso per tutti gli amici! E la chiave di dentro di me ce l’hanno tutti quelli che se lo meritano! No tutti!”.

A troncante dimostrazione – poi – del ruolo di primissimo piano assunto in cosa nostra, dalle intercettazioni si apprendeva anche che  Buggea era in condizione di intrattenere rapporti direttamente con Matteo Messina Denaro, essendo a conoscenza della segretissima rete di comunicazione e protezione utilizzata dal capo di cosa nostra latitante.

Ancora rappresentativi del ruolo di primissimo piano rivestito dal Buggea si rivelano alcuni commenti sul suo conto espressi occasionalmente da altri esponenti di vertice di Cosa nostra. Così il capo della famiglia mafiosa di Licata Angelo Occhipinti  rivolgendosi al suo uomo di fiducia Spiteri Giuseppe Salvatore al termine della riunione che lo stesso Occhipinti aveva intrattenuto con Buggea il 19 marzo  2018  all’interno  del magazzino  adibito a base della cosca di Licata. Infine, l’indiscussa e riconosciuta autorevolezza mafiosa raggiunta dal Buggea gli consentiva di essere indicato dal mafioso palmese Antonino Chiazza quale candidato per la successione del capo mandamento di Canicattì, Calogero Di Caro.

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