Mafia

Mafia, 30 condanne e 36 assoluzioni nel clan dell’Acquasanta

Con 182 anni di carcere e 34 assoluzione si è chiuso in primo grado il processo "Mani in pasta"

Pubblicato 3 anni fa

Il gup di Palermo Simone Alecci ha condannato a pene complessive di poco inferiori ai due secoli di carcere trenta imputati, assolvendone altri 36, nel processo denominato “Mani in pasta”, riguardante le cosche mafiose della zona costiera di Acquasanta e Arenella, nel capoluogo siciliano. Colpite duramente – nonostante il rito abbreviato, che da’ diritto a uno sconto di pena di un terzo – soprattutto le famiglie dei Fontana e dei Ferrante, clan ritenuti autori di taglieggiamenti, infiltrazioni in imprese, cooperative di lavoratori impegnati nei Cantieri navali, protagonisti anche di grandi affari immobiliari e commerciali in Lombardia, oltre che di traffici di sostanze stupefacenti, vecchia e nuova fonte di guadagno per Cosa nostra. Nell’inchiesta della Guardia di finanza, coordinata dalla Dda con i pm Dario Scaletta, Amelia Luise e Maria Rosaria Perricone, anche agenzie di scommesse, cavalli da corsa, negozi e attivita’ commerciali intestati fittiziamente a prestanome. Alcuni dei beni sequestrati al momento del blitz, nel 2019, sono stati restituiti con la decisione del giudice Alecci. Le trentasei assoluzioni hanno evitato la mazzata invocata dalla Procura con richieste di condanna che erano state ancora piu’ pesanti.

Questa la lista dei condannati, in ordine alfabetico: Pietro Abbagnato ha avuto 3 anni; Cristian Ammirata e Antonino Di Vincenzo un anno, sei mesi e venti giorni; Fabrizio Basile 12 anni; Fabio Chiarello e Salvatore Ciampallari 4 anni, 10 mesi e 20 giorni a testa; Salvatore Ciancio 8 mesi; Letizia Cina’ 6 anni e dieci mesi; Gianpiero D’Astolfi e Salvatore Giglio 8 anni e due mesi ciascuno; Giovanni Di Vincenzo 5 anni e otto mesi; Francesco Ferrante e Giovanni Giannusa hanno avuto solo una multa: mille euro ciascuno; Francesco Pio Ferrante nove anni; Giovanni Ferrante otto; Michele Ferrante dodici; Gaetano Fontana un anno e sei mesi; Giovanni Fontana un anno e otto mesi; Giuseppe e Nunzio Gambino, Roberto Giuffrida sei anni e otto mesi a testa; Ivan Gulotta 5 anni; Roberto Gulotta 10 anni; Giovanni Mamone, Pierfulvio Pecoraro e Michela Radogna un anno e quattro mesi a testa; Sergio Napolitano, Domenico Onorato, Santo Pace, Domenico Passarello e Liborio Sciacca 12 anni ciascuno.

Gli assolti sono Lorenzo e Salvatore Badalamenti; Tommaso Bassi, Giulio Biondo, Antonino Bonura, Stefano Calafiore, Filippo Canfarotta; Andrea Ciampallari; Riccardo Colombo, Giuseppe Corona (difeso dagli avvocati Antonio Turrisi e Giovanni La Bua); Danilo D’Ignoti; Lorenzo Di Salvo, Leonardo Distaso; Francesco Charles e Laura Fabio; Ignazio Ferrante (difeso dall’avvocato Turrisi), Angelo Fontana, Rita Fontana, Angela Teresi, Filippo Lo Bianco, Davide Matassa, Gianluca Panno, Emilia Passarello, Raffaele, Gaetano Pensavecchia (assistito dall’avvocato Domenico La Blasca) Luigi Pensavecchia, Gaetano Pilo, Domenico Pitti, Vittorio Stanislao Pontieri, Massimiliano Regge (difeso dall’avvocato Salvatore Ferrante); Carmelo Rubino, detto Massimo; Rosolino Ruvolo, Daniele Santoianni, Monica Schillaci e Giuseppe Spallina, difeso dall’avvocato Corrado Sinatra. 

I condannati dovranno risarcire le associazioni che si erano schierate, come parte civile, al fianco delle vittime delle estorsioni: Federazione antiracket Fai, Centro studi Pio La Torre, associazione Antonino Caponnetto, Solidaria, Sos Impresa, Confesercenti, Confcommercio, Sicindustria e Comune di Palermo. Da risarcire anche le due parti civili private che si sono costituite nel processo.

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