Mafia

Operazione antimafia “Lumia”, boss gestiva il racket dal carcere: 8 arresti

Dall'inchiesta sarebbe emerso il "condizionamento illecito del mercato degli agrumi - soprattutto dei limoni - e dei relativi trasporti"

Pubblicato 32 minuti fa

 Nell’operazione antimafia coordinata dalla Procura di Catania, le fiamme gialle hanno arrestato e condotto in carcere otto persone, mentre altri 12 indagati sono stati sottoposti a perquisizione. Eseguito anche il sequestro preventivo di due imprese, una Srl e una ditta individuale, di Aci Sant’Antonio per un valore complessivo di 1 milione di euro e contestualmente sono stati notificati, nelle province di Catania, Messina, Monza, Pavia, Prato e Reggio Calabria, gli avvisi di conclusione delle indagini a tutti i soggetti coinvolti. Al centro delle indagini, spiega la Dda etnea, “la permanente operatività del gruppo criminale appartenente al clan Laudani attivo nella provincia di Catania e, in particolare, nei territori di Acireale, Aci Sant’Antonio, Aci Catena e zone limitrofe”.

Dall’inchiesta sarebbe emerso il “condizionamento illecito del mercato degli agrumi – soprattutto dei limoni – e dei relativi trasporti”, da parte della cosca legata a Orazio Salvatore Scuto che, nonostante fosse detenuto, si sarebbe “avvalso di un gruppo di uomini di fiducia per monopolizzare la filiera del mercato agrumicolo dei territori dei paesi pedemontani”. Tra questi Angelo Puglisi, Ivano Aleo, Salvatore Faro, Antonino Di Pino, Giuseppe Scuto e Alessandro Settimo Bonaccorso. Orazio Scuto avrebbe “dato ordini dal carcere utilizzando schede telefoniche fittiziamente intestate a extracomunitari e introdotte illegalmente in carcere con un drone, restando così in contatto con i fedelissimi che lo chiamavano papà”. Secondo la Procura di Catania dalle indagini della guardia di finanza sarebbero “emerse diverse condotte ritenute estorsive a danno di imprenditori del settore e le pressioni intimidatorie esercitate nei confronti degli operatori economici riottosi, con la paventata possibilità di ricorrere a violente rappresaglie, anche per imporre le scelte imprenditoriali in merito alle imprese da escludere o da favorire, tra cui quella riconducibile di fatto a Orazio Scuto”.

La forza di intimidazione del clan, secondo l’accusa, “sarebbe stata, peraltro, assicurata dalla disponibilità di armi, come testimoniato dal contenuto delle conversazioni captate e dal sequestro eseguito nei confronti dell’indagato Scuderi Roberto, a riscontro delle attività tecniche, di due pistole semiautomatiche con matricola abrasa”. 

Di contro, sottolinea la Procura, dalle indagini della guardia di finanza di Catania, sarebbero emerso come “imprenditori e titolari di esercizi commerciali si sarebbero rivolti” alla cosca “per la tradizionale attività di recupero credito o per bloccare legittime pretese creditorie o, ancora, per essere protetti dai furti”. In definitiva, conclude la Dda etnea, “sarebbe stato accertato che diversi imprenditori intenzionati a operare sul mercato agrumicolo dell’Acese, per avervi accesso o non essere esclusi, avrebbero dovuto soggiacere alle regole imposte da Orazio Salvatore Scuto” che, contesta l’accusa, “in pregiudizio della libera iniziativa economica e del gioco concorrenziale, avrebbe intessuto attorno a sé una fitta rete di società, tutte reciprocamente avvinte da rapporti commerciali”. “L’attività investigativa in questione – sottolinea il procuratore Francesco Curcio – si inquadra nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Procura di Catania e dalla guardia di finanza volte al contrasto, sotto il profilo economico-finanziario, delle associazioni a delinquere di tipo mafioso e della “mafia imprenditrice”, anche al fine di evitare i tentativi, sempre più pericolosi, di inquinamento del tessuto imprenditoriale e di partecipazione al capitale di imprese sane”.

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