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Il dovere della memoria non si estingue

di Salvatore Cardinale*

Pubblicato 3 anni fa

Lo scorrere inesorabile del tempo causa, tra le tante evenienze, l’attenuazione, e spesso anche la cancellazione, del ricordo di personaggi e avvenimenti, specie di quelli per i quali manca la persistente attenzione mediatica, anche se gli uni e gli altri meriterebbero ben altra sorte.

Ma non tutti i fatti e le persone ad essi collegate meritano di cadere nell’oblio e, tra essi, certamente non la merita la figura di Pasquale Di Lorenzo, sovrintendente del Corpo degli agenti di custodia, ucciso, mentre era ancora in servizio presso la casa circondariale di Agrigento, dalla mafia agrigentina su ordine del “Capo dei capi” di Cosa Nostra.

Era la mattina del 14 ottobre 1992 quando, davanti la sua casa di campagna sita in c.da Durrueli di Porto Empedocle, veniva rinvenuto, crivellato da colpi d’arma da fuoco, il corpo del sovrintendente Di Lorenzo, atteso inutilmente dalla famiglia fin dalla sera precedente.

I primi rilievi tecnici evidenziavano che la vittima era stata uccisa nella tarda serata del 13 ottobre a seguito di un agguato condotto con l’uso di armi di diverso calibro mentre si accingeva a lasciare la sua proprietà per fare rientro nell’abitazione principale.

Il sovrintendente Di Lorenzo, campano di origine, da molti anni prestava servizio presso il penitenziario di Agrigento ove era noto, e si distingueva, per la serietà e la competenza con cui svolgeva il suo difficile lavoro.

Non lo distoglieva dall’eseguire correttamente il suo servizio la circostanza che, tra i detenuti della struttura penitenziaria  ci fossero anche dei mafiosi, tipologia di reclusi di difficile gestione.

Per la sua evidente capacità professionale era stato incaricato, nella vacanza del posto, del comando degli agenti assegnati allo stabilimento agrigentino. Dotato  di una forte personalità e di indiscussa conoscenza del mestiere, “era conosciuto come persona risoluta anche nei rapporti con i detenuti, non essendo incline a compromessi; la sua irreprensibile personalità avevano, a volte, scatenato la reazione dei detenuti che mal tolleravano il suo rigore e il suo impegno nel lavoro” (sentenza Corte di Assise di Agrigento).

Trascorsi parecchi anni dal delitto, nel corso dei quali erano state seguite piste investigative risultate errate, finalmente, grazie alle indicazioni fornite da un collaboratore di giustizia che aveva preso parte alla fase organizzativa ed esecutiva del crimine, veniva alla luce che la vittima era stata uccisa nell’ambito e in attuazione di un progetto stragista, promosso dal boss Salvatore Riina, che prevedeva l’uccisione di un agente di custodia per ogni carcere isolano quale risposta sanguinaria all’istituzione, da parte dello Stato, del regime del 41 bis Ordinamento penitenziario, e all’inasprimento del trattamento riservato ai detenuti mafiosi più pericolosi.

In particolare, la genesi e l’esecuzione dell’omicidio venivano spiegate, nel c.d processo Akragas a carico della mafia agrigentina svoltosi nel 1999, dalla Corte di Assise di Agrigento che, con una lucida motivazione sorretta da prove dichiarative e scientifiche sottoposte ad un rigoroso vaglio critico e ritenute pienamente adeguate, ricostruiva tutte le fasi del delitto indicando i mandanti, gli organizzatori e gli esecutori locali di esso e svelando le ragioni della “scelta” caduta sull’incolpevole  sovrintendente Di Lorenzo.

Nella motivazione della sentenza, i giudici sostenevano che il sovrintendente Di Lorenzo era stato scelto come vittima sacrificale “perché conosciuto per la sua fama di persona onesta e irreprensibile e per ciò considerato un “duro” tra i detenuti” (sentenza Corte di Assise di Agrigento), come se, secondo l’aberrante visione mafiosa, fare il proprio dovere costituisse un grave “colpa” da punire con la morte.

Durante le prime indagini, l’assassinio era stato attribuito ad ambienti di delinquenza comune ma le ulteriori investigazioni, favorite questa volta dalle indicazioni offerte dai c.d. “pentiti”, evidenziavano la matrice vera del delitto “maturata nell’ambito di una strategia di tipo terroristico, portata avanti dagli appartenenti a Cosa nostra nei confronti degli agenti della polizia penitenziaria, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 41 bis Ordinamento Penitenziario” (sentenza Corte di Assise di Agrigento).

Dal dibattimento, emergeva, anche, che il Riina, rivedendo in seguito la sua decisione, aveva abbandonato l’idea sanguinaria temendo una reazione pesante dello Stato ma ciò era avvenuto troppo tardi perché il ripensamento di “Totò u curtu” aveva salvato la vita di altre potenziali vittime ma non era giunto in tempo a salvare quella del sovrintendente Di Lorenzo.

Acclarata la verità, al sovrintendente Di Lorenzo è stata doverosamente riconosciuta nel 2003 la “Medaglia d’oro al valore civile alla memoria” e, successivamente, al suo nome è stata intitolata, nel corso di una solenne cerimonia svoltasi nel 2018, la casa circondariale di Agrigento, comunemente chiamata “Petrusa” dalla contrada in cui essa è sorta, a perenne ricordo del suo sacrificio. Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, in un messaggio inviato in occasione della Giornata nazionale delle vittime di mafia, celebratasi, come ogni anno,  il 21 marzo u.s., ha scritto che “ricordando il nome delle persone, il loro martirio, il dolore che li circonda, e anche, il lavoro, il coraggio, l’impegno, le speranze, comprendiamo che questi martiri sono nostri modelli, nostri maestri, ed è a loro che dobbiamo guardare per imprimere in noi stessi la consapevolezza della gravità di questi fenomeni che divorano la società”.

Più recentemente, l’Arcivescovo dell’Arcidiocesi di Agrigento, mons. Alessandro Damiano, partecipando alla Giornata della memoria e dell’accoglienza, nel sottolineare l’importa della memoria, ha sostenuto come il ricordo del passato va visto “non come evasione dal presente ma come base per l’impegno nel presente e per speranza verso il futuro” ….E ancora, “perdere la memoria storica da parte del singolo o della comunità significa rischiare di  smarrire la propria identità e la capacità di costruire relazioni interpersonali autentiche….” (L’Amico del Popolo del 10.10.2021)

La provincia di Agrigento, che ha visto bagnata la sua terra dal sangue di tanti fedeli servitori dello Stato, vittime del crimine organizzato, deve anche quest’anno  sentire il dovere di ricordare, in occasione del ventinovesimo anniversario della  morte,  il sacrifico del sovrintendente Pasquale Di Lorenzo, modello di onestà, competenza e professionalità in una società in cui spesso domina l’indifferenza, il svoltarsi dall’altra parte e un’ingiustificata rassegnazione.

  *già presidente della Corte di Appello di Caltanissetta

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