Ritorno a “Villa Malgiocondo” con le vite “sciocche” degli agrigentini pirandelliani (gallery)
Ne avevamo dato conto ai nostri lettori lo scorso gennaio per la “prima” al Teatro Pirandello”. Ieri sera “Villa Malgiocondo” è tornata nuovamente in scena al teatro del Tempio di Giunone anche per scelta del direttore del Parco, Roberto Sciarratta. Scelta quanto mai doverosa visto che la ”Fondazione Teatro Pirandello” sta operando in modo […]
Ne avevamo dato conto ai nostri lettori lo scorso gennaio per la “prima”
al Teatro Pirandello”.
Ieri sera “Villa Malgiocondo” è tornata nuovamente in scena al teatro del
Tempio di Giunone anche per scelta del direttore del Parco, Roberto Sciarratta.
Scelta quanto mai doverosa visto che la ”Fondazione Teatro Pirandello” sta
operando in modo coinvolgente le risorse artistiche e tecniche per una
“ritrovabile” Agrigento. Cambia qualche interprete indisponibile, al momento, subito
rimpiazzato da “avanti un altro” messo in (lunga) fila di attesa.
Cambia anche la robustezza della messa in scena affidata stavolta a più di un “assolo” e che fa ottima compagnia al monologo del grande attore siciliano Andrea Tidona.

Personaggi pirandelliani a valanga, dirompenti e dolenti, disseppelliti da cent’anni di solitudine. Entrano ed escono da una casa di cura (“Villa Malgiocondo”) quasi una sorta di città immaginaria come la Macondo di Marquez popolata di quelle vite che Pirandello in una sua poesia chiama “vite sciocche di innumerabili mortali… che retata di drammi originali”.
Che è come dire
l’individuo divorato dalla storia e la storia divorata dal mito. Un rito,
un mito che l’altra sera si è celebrato all’ombra del Tempio di Giunone di Agrigento con la regia di Gaetano Aronica e Giovanni Volpe e una “cascata” di attori
agrigentini che il regista e presidente della Fondazione Teatro Pirandello ha tirato fuori dalla naftalina
delle mancate opportunità, dei sognati desideri di anime e corpi che nell’arte
e nella recitazione cercano il loro ubi consistam.
Una risposta al “che ci faccio qui?” data dalla Fondazione che dopo “Vestire gli ignudi” e “Luna pazza” prosegue il “confronto – scrive Aronica nelle sue note di regia insieme al suo collaboratore Giovanni Volpe – con pagine immortali, rileggendole in maniera che riteniamo originale e per il riflesso che hanno nella nostra vita individuale e sociale, con la certezza di potere offrire uno spettacolo coraggioso, contemporaneo e di grande impatto realizzato con un gruppo di attori eccezionali: Ilaria Bordenga,, Barbara Capucci, Giusi Carreca, Gabriele Ciraolo, Silvia Frenda, Marcella Lattuca, Rosa Maria Montalbano, Giovanni Moscato, Marianna Rotolo, Arianna Vassallo, Noemi Castronovo, Nicola Puleo, Fabrizio Milano, Emanuele Carlino, e con la partecipazione straordinaria di Andrea Tidona”. Scene e costumi di Flavia Crocca.
E di coraggio e
inventiva Aronica e Volpe, reduci
da una storica “Alba nella Valle, ne hanno profuso abbastanza fin
dalle prime battute della messinscena dove una giovane cameriera Marta porta il
caffè a letto del direttore della clinica, alias Pirandello. Non si era mai visto e pensato che la favolosa musa
ispiratrice Marta potesse
aiutare lo scrittore a indossare gli snikers mentre don Luigi bofonchia sulla
contemporaneità di ponti e viadotti crollati, città sommerse dall’acqua alta,
inveendo contro ladri e cialtroni politici, ipocriti e corruttori.
“Forse non sono riuscito a centrare la lingua della comunicazione di massa – ci dice Aronica – ma la tentazione che ho di rivolgermi ai presunti detentori della verità di Pirandello è sempre forte. Non abbiamo giocato a fare teatro, lo abbiamo fatto. E con tutti i presupposti intellettuali e drammaturgici. Non c’è vita fuori della forma e allora bisogna renderla mutevole questa forma, per non restare prigionieri del vuoto fino a diventarne suoi pregnanti operai”.
Aronica definisce i suoi attori eccezionali
e dopo aver visto lo spettacolo si può concordare benissimo con lui, così ben
incastonati nei loro ruoli, tesi a dipanare realtà e immaginazione e con
l’aggiunta di Andrea Tidona che
riesce a saldare la partecipazione del gruppo attoriale su un alto comune
denominatore.
Merito anche di una
scrittura scenica che innesta i nodi emozionali delle storie con alcune figure
che si fanno simbolo delle evocate vanità dei mortali, della vita, della
solitudine a tinte fosche, della dittatura sociale.
Alla fine caldi applausi
mentre gli attori, accennando sarcastici passettini di danza, si dileguano
dietro le quinte.
Una notazione non di poco conto per una Agrigento che in un recente referendum si era dichiarata “felice” al 70%. Empedocle e Pirandello non si sbagliano mai
Testo e foto di Diego Romeo