RISERVATO ABBONATI

Stiddari senza ritegno: affidano alla benedizione di Dio le loro imprese criminali

Emerge dall'inchiesta e dal processo Xydi

Pubblicato 3 anni fa

Il processo (rito abbreviato) scaturito dalla maxi inchiesta Xidy – eseguita dai carabinieri del Ros – che avrebbe fatto luce su intrecci tra Cosa nostra e Stidda nell’agrigentino si avvia a grandi falcate verso la conclusione con sentenza che verrà pronunciata prima della fine dell’estate.

L’inchiesta che ha originato il processo avrebbe pure svelato i componenti della nuova Stidda che si sarebbe contrapposta alla famiglia di Cosa nostra. Ipotizzate anche una serie di estorsioni, in particolare nel settore delle mediazioni agricole. Nell’ambito dell’attività investigativa è emerso un capitolo inquietante che relativo al riservato circuito di comunicazioni tra gli stiddari che viene così descritto dal pubblico ministero Claudio Camilleri della Direzione distrettuale antimafia di Palermo nel modo che segue:

Nel corso delle indagini, l’esistenza e la concreta operatività del gruppo mafioso degli stiddari veniva documentata anche grazie al fatto che i componenti si avvalevano, a far data dalla fine del 2020, di una rete riservata di utenze telefoniche, fittiziamente intestate a terzi soggetti e sostituite periodicamente.

Tale rete di comunicazione, creata al fine evidente di eludere le attività di indagine nei loro confronti, è stata però prontamente disvelata dalle investigazioni che hanno individuato le schede in uso a Antonino Chiazza,  Santo  Giacchino Rinallo e Pietro Fazio tutte attivate il 16 dicembre 2020 presso il dealer Di Bernardo Santa e intestate al nucleo familiare di Greco Pedarsi Antonio, assolutamente sconosciuto a qualsiasi contesto investigativo, utenze che venivano utilizzate dagli indagati esclusivamente per trattare argomenti attinenti alla gestione degli affari e degli interessi dell’agguerrito sodalizio mafioso stiddaro.

La rete riservata, vera e propria cartina tornasole dell’esistenza del circuito associativo, coinvolgeva, per quanto appreso dai recentissimi sviluppi delle indagini, Antonino Chiazza,  Santo  Giacchino Rinallo e Pietro Fazio.

Inoltre, seppur non si era individuata l’utenza a lui in uso, si comprendeva che anche Antonino Gallea accedeva a tale rete riservata. In diverse occasioni, a bordo dell’autovettura in uso a Pietro Fazio, sono state intercettate delle conversazioni, intercorse tra Rinallo, Chiazza e Fazio, inerenti alle schede in questione, associate all’operatore di telefonia mobile Digi Mobil Nelio specifico:

– il 26 novembre 2020 veniva intercettata una  conversazione  tra Rinallo e Fazio, dalla quale emergeva che i predetti e Chiazza Antonino erano in possesso di Sim telefoniche a loro non riconducibili.

– il  2  dicembre  2020,   da  una  conversazione  intercorsa  tra  Fazio  e Rinallo, emergeva che   una comunicazione attraverso un   circuito riservato era giunta a quest’ultimo da parte di Gallea Antonio, che informava il sodale che si trovava fuori (dal carcere) e che gli era stato prolungato il permesso sino al 7 gennaio 2021 (Gallea, effettivamente, era in permesso dal 5 novembre 2020);

– il 17 dicembre 2020, da una conversazione intercorsa tra Fazio e altre persone non identificate compiutamente (tali Gioacchino e Antonio), si comprendeva che  il primo aveva la disponibilità di schede telefoniche riservate della compagnia Digi Mobil.

Le successive intercettazioni dell’Imei del telefono in uso al Chiazza Antonino consentivano di individuare  direttamente le utenze  riservate facenti parte della segreta maglia di comunicazioni.

Proprio il primo giorno delle attività di intercettazione (il 24 dicembre 2020), si scoprivano immediatamente le utenze riservate utilizzate da Fazio Pietro e Rinallo Santo. Alle ore 21 circa, infatti, sull’utenza in uso a Chiazza giungeva una telefonata dal numero  intestato a tale Greco Pedarsi Antonio e in uso invece a Rinallo Santo Gioacchino. La conversazione tra Chiazza e Rinallo risultava un esempio ormai raro di comunicazione tra sodali mafiosi, con la libertà di esprimersi grazie alla (erronea) convinzione di essere al riparo da investigazioni.

Il dialogo trasudava affectio societatis da tutti i pori. Erano due affiliati che si confrontavano, si rispettavano e si giuravano fedeltà eterna.

Si percepiva chiaramente che Chiazza aveva una deferenza particolare verso Rinallo che, dalla sua, aveva un duplice omicidio alle spalle e una militanza nella Stidda che lo rendevano quasi venerabile. Questi i passaggi più salienti di un dialogo certamente memorabile, non solo perché sigillava il patto stiddaro, ampiamente corroborato anche da altri elementi che si esporranno, ma perché dimostrava che nonostante il percorso rieducativo del Rinallo, apparentemente sano e  tranquillizzante,  costui non aveva cessato di essere il feroce criminale per il quale era stato condannato al carcere a vita.

Rinallo e Chiazza, sicuri di non essere intercettati, suggellavano di fatto la loro unione (“nata nel 2020′) nel sodalizio mafioso stiddaro, facendo riferimento ai progetti di crescita, al legame esistente tra Rinallo e un “Vecchietto’ che si trovava “fuori” (con ciò riferendosi al più anziano del gruppo Gallea Antonio che, effettivamente, scontava la pena  e trascorreva i periodi di semilibertà in provincia di Napoli).

Andando ai singoli passaggi del dialogo, in una sorta di bilancio consuntivo di fine anno, Chiazza e Rinallo si rallegravano vicendevolmente per essersi conosciuti e per aver intrapreso un percorso insieme, foriero di vantaggi. Chiazza rammentava  anche il momento preciso del loro primo contatto e descriveva finanche lo stato d’animo che aveva Rinallo in quel frangente.

Rinallo ammetteva che il periodo trascorso era stato per lui davvero complicato in quanto si aspettava di ottenere la completa libertà, cosa questa non avvenuta ma che, come meglio si comprenderà dalle conversazioni successive, non gli aveva impedito di riprendere a delinquere come esponente di spicco della associazione mafiosa stiddara canicattinese. Chiazza, per rincuorare Rinallo, faceva riferimento al periodo positivo che stavano attraversando insieme. Parole che ricaricavano immediatamente il Rinallo, che rivendicava con orgoglio la ancora attuale operatività della Stidda i  cui  componenti, nonostante i duri colpi subiti in passato sia per via giudiziaria sia per mano di Cosa nostra, dovevano continuare a camminare “a testa alta” e ciò anche a costo di essere nuovamente  colpiti.

Premettendo ancora una volta che entrambi si sentivano liberi di esprimersi senza alcuna ritrosia dettata dal pericolo di essere intercettati, Chiazza e Rinallo continuavano ad incitarsi  e complimentarsi a vicenda, convinti del loro modo di agire, della mentalità (mafiosa) che vi era alla base e sicuri che non avrebbero mai cambiato rotta. Chiazza si considerava  un “leone’, riconoscendo la stessa forza e il medesimo carisma al Rinallo, tanto che la loro unione, in tal modo, era difficilmente contrastabile per la potenza che era in grado di sprigionare Rinallo, rievocando i suoi trascorsi criminali di stiddaro, si vantava  di aver avuto vicine poche ma buone “persone’ che Chiazza conosceva, riferendosi in particolare  ad  un  “vecchietto’ , ben  conosciuto  da Chiazza (“che tu sai”), che si trovava da un’altra parte, passaggio questo chiaramente riferibile all’ergastolano Gallea Antonio, il quale gravitava in special modo nell’area del napoletano dove spesso fruiva dei benefici penitenziari concessi. Per esaltare le qualità di Gallea e il loro saldissimo legame, anche in proiezione delle attività ancora da portare avanti nel ricompattato sodalizio mafioso stiddaro, Rinallo e Chiazza paragonavano “il vecchietto’ quasi ad una divinità, in grado di fermare i pianeti e arrampicarsi su pareti prive di appoggi, con Rinallo  che ribadiva la loro invincibilità passata, ma soprattutto futura  fornendo ancora una volta la prova della (ancora) piena permanenza del sodalizio. Chiazza e Rinallo, sempre sereni di potersi esprimere  liberamente senza essere intercettati, si giuravano reciproca fedeltà con l’orgoglio di appartenere alla Stidda, definito da quest’ultimo in termini di “fratellanza”. Rinallo  sugellava  addirittura  il legame  saldato con  Chiazza  dicendo che sarebbe durato “all’infinito”.

Difficile  trovare  parole  più  efficaci  di quelle  utilizzate  dai due  sodali per descrivere il vincolo che l’art. 416 bis c.p. descrive e punisce. A  seguire,  entrambi  convenivano  di fatto su un  vero  e proprio  manifesto ideale del sodalizio mafioso stiddaro. Chiazza, con parole chiarissime sulla volontà di far crescere economicamente la loro associazione, chiamata “questa cosa’, evidenziava anche la sua maggiore libertà sul territorio che lo portava ad esporsi di più rispetto a Rinallo, comunque ancora in regime di semilibertà e quindi sotto osservazione da parte dell’Autorità giudiziaria: Rinallo condivideva appieno le parole del suo sodale e Chiazza ribadiva che intendeva fare “ingrandire ‘ il loro sodalizio, aggiungendo che in quella giornata aveva di fatto avvicinato alle loro fila un altro mediatore di Naro (diverso rispetto a quello che aveva già contattato Rinallo) al quale Chiazza, dopo avere evidenziato la loro esuberante forza (mafiosa) rispetto a quella di altre associazioni, aveva chiesto (o meglio imposto) di schierarsi con loro, cosa questa che era avvenuta con l’adesione immediata del narese in questione. Chiazza si lanciava nella metafora del “toro” e della “pecora”, veicolata al mediatore cui aveva prospettato di unirsi al loro sodalizio in quanto forti e capaci di espandersi (procreare) come un toro.

Entrambi  non   si  accontentavano   dei  risultati  ottenuti  nel   settore  delle mediazioni agricole nel corso del 2020, ma pensavano in grande. Rinallo dava atto a Chiazza dell’importante ruolo che questi aveva avuto, definendolo addirittura il “perno  principale’ ma ricordandogli comunque che ciò che aveva realizzato era stato possibile anche grazie al fatto che egli aveva altri soggetti vicini che lo avevano “appoggiato’, passaggio quest’ultimo chiaramente riferito allo stesso Rinallo e a Gallea Antonio. Chiazza arrivava a paragonare Rinallo all’ossigeno e ciò perché la consapevolezza di agire con l’appoggio di due storici stiddari, come Rinallo e Gallea, gli dava la forza per  fronteggiare  qualsiasi situazione. Il riferimento del Chiazza  era   ovviamente  alla  già illustrata contrapposizione fra il gruppo di stiddari e quello capeggiato da Buggea Giancarlo, metaforicamente indicata nel corso del dialogo con l’utilizzo delle figure del “toro” e della “pecora”, contrapposizione che egli avrebbe affrontato con la forza trasmessagli dal sentirsi parte di un sodalizio  (“io ho l’ossigeno per potere dare testa a chi si sente il migliore”).

I due concludevano la loro conversazione in libertà addirittura auspicando di avere la benedizione e la protezione divina, sicuri del fatto che ciò sarebbe avvenuto per via delle loro qualità morali. E ciò in ragione della solidarietà che li univa.

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