Mafia, Nando Dalla Chiesa: “mio padre lasciato solo”
Il racconto del figlio del generale Dalla Chiesa ucciso il 3 settembre 1982
“Un conto sono i giudizi critici, un conto le menzogne. C’è sempre qualcuno che può dire le cose più infami senza che la magistratura senta il dovere di difenderne la memoria. Tutti telefonavano a mio padre all’epoca del terrorismo. Ma poi ho visto con i miei occhi i telefoni muti. Non gli rispondevano più”. Così in un’intervista a ‘Repubblica’, Nando dalla Chiesa, figlio di Carlo Alberto, il generale dei carabinieri ammazzato il 3 settembre 1982 con la moglie Emanuela Setti Carraro e l’autista Domenico Russo da un commando di Cosa nostra.
“Ciriaco De Mita, segretario della Dc, quell’estate dell’82 non si fa trovare anche se eravamo in Irpinia a 30 chilometri di distanza. Mio padre diceva: ‘Non possono pensare che io sia contro di loro, con quello che ho fatto’. Eppure, non l’hanno aiutato e i killer mafiosi sono scesi dalle moto dopo le prime raffiche non per finirlo, ma per sparargli ancora e sfigurarlo – afferma – E Giovanni Spadolini, che era presidente del Consiglio, non consegna la lettera inviata da mio padre, ma l’ho trovata nell’archivio di casa. E il procuratore di Palermo, Vincenzo Pajno, dice a mio zio ‘Non intendo giocarmi le ferie’. Le ferie! Quando avrebbe dovuto parlare di coscienza. Dentro di me è tutto vivo”. “Avevo passato le vacanze dell’estate dell’82 con mio padre a Prata Principato Ultra, in Irpinia, nella casa del nonno materno. Tornando a Milano pensai seriamente che potessero ammazzarlo. Ma mi dissi: non lo possono fare. Si sono talmente esposti che sarebbe un delitto firmato. E ho sbagliato. Ho imparato che possono esistere delitti firmati, basta che esista una società che non voglia leggere le firme” prosegue dalla Chiesa. E ricordando la lotta al terrorismo, sottolinea: “Era umanamente coinvolto nella fiducia che gli diede Patrizio Peci, pentito fondamentale. E orgoglioso di aver vinto senza mai usare la legge che prevedeva le perquisizioni in blocchi interi di edifici. Ricordo una sua uscita a Milano in piazza Scala, in divisa, senza scorta. Se mi vedono qui, si convincono che l’Italia non deve aver paura, diceva. Una volta in una scuola gli hanno chiesto: ‘Lei ha paura?’. ‘Se ho paura me la tengo per me’, ha risposto”.