Lampedusa

Migranti, il parroco di Lampedusa: “i muri non servono a fermare i flussi”

“Non ci sono parole. Solo un profondo dolore”. Don Carmelo Rizzo, parroco di Lampedusa, le immagini dei piccoli corpi senza vita sbarcati al molo Favaloro le ha impresse in mente. “Per il mio ministero sono abituato alla morte, ma non così. Così è inaccettabile – dice all’Adnkronos -. Siamo impotenti, disarmati, piegati dal dolore. Dinnanzi […]

Pubblicato 3 anni fa

“Non ci sono parole. Solo un profondo dolore”. Don Carmelo Rizzo, parroco di Lampedusa, le immagini dei piccoli corpi senza vita sbarcati al molo Favaloro le ha impresse in mente. “Per il mio ministero sono abituato alla morte, ma non così. Così è inaccettabile – dice all’Adnkronos -. Siamo impotenti, disarmati, piegati dal dolore. Dinnanzi a quei piccoli corpi martoriati non ci sono parole. Quelle immagini non riesco a togliermele dalla mente. Come si fa a dimenticare? E’ impossibile”, ripete come un mantra. La “strage degli innocenti” l’ha definita il sindaco di Lampedusa, Filippo Mannino, e don Carmelo, che sull’isola è arrivato da poco più di un anno, ammette: “Una cosa è leggere le notizie, ascoltarle al tg. Altro è vedere quei corpi, il dolore di chi resta, lo strazio dei sopravvissuti”.”Tutto questo poteva essere evitato? Penso proprio di sì – dice don Carmelo -. Se queste persone avessero viaggiato in sicurezza non sarebbe capitato. E nessuno lascia la propria casa per affrontare un viaggio del genere se ha un’alternativa“. Con il mare calmo a Lampedusa sono ripresi gli approdi. In centinaia in poche ore sono approdati sull’isola. Vivi e morti, insieme. “Chi è in mare va salvato. I muri non servono a fermare i flussi ma, al contrario, alimentano la clandestinità e gli affari dei trafficanti. Occorre uno sforzo internazionale, pensare a viaggi sicuri per chi scappa da guerre e miserie, strutturare corridoi umanitari perché il Mediterraneo non continui a essere un cimitero”. Quello che è certo è che “non è più possibile girarsi dall’altra parte dinnanzi a simili tragedie. Fare memoria non basta, occorre agire, anche sull’altra sponda del Mediterraneo per creare condizioni migliori nei Paesi da cui questi nostri fratelli e sorelle scappano. E intanto salvare chi a mare rischia la vita. Non c’è alternativa”. Accanto a chi arriva e accanto a chi nell’isola ogni giorno in mare soccorre e aiuta. “Cerco di stare vicino anche ai soccorritori. Anche per loro è difficile. Mi hanno detto ‘Padre, abbiamo pregato per quei bimbi, tra le lacrime abbiamo pregato per loro’. Un dolore inimmaginabile”.

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