Crisi politica in Sicilia, manovra del governo Schifani fatta a pezzi con il voto segreto
Per un pomeriggio intero sala d'Ercole s'è trasformata in un Vietnam per il governo siciliano, colpo dopo colpo sono caduti decine di articoli
(di Alfredo Pecoraro, ANSA)
In Sicilia è crisi politica nella maggioranza di centrodestra: da una parte Fratelli d’Italia, dall’altra Fi, Dc e Lega fedeli a Renato Schifani. Il governo è uscito tramortito dalla seduta dell’Assemblea regionale sulla manovra quater da 241 milioni di euro: il testo è stato fatto a pezzi a colpi di voto segreto, con una media di 15 franchi tiratori che hanno approfittato della dura opposizione di Pd e M5s per la resa dei conti interna dopo i dissidi dei giorni scorsi su alcune scelte del governo in tema di nomine nella sanità. Tra la frangia dei dissidenti oltre a Fratelli d’Italia, che conta dodici deputati, anche alcuni parlamentari azzurri. Per un pomeriggio intero sala d’Ercole s’è trasformata in un Vietnam per il governo siciliano, colpo dopo colpo sono caduti decine di articoli.
E neppure il tentativo di stralciare dal testo 20 dei 54 articoli è servita a riportare la calma, l’aula ha continuato a votare gli emendamenti soppressi e le norme col voto segreto e puntualmente il governo è andato sotto. Una ecatombe. Schifani ha seguito i lavori dal suo ufficio di Palazzo d’Orleans, che si trova a poche decine di metri dal Palazzo Reale dove si stava consumando lo strappo politico. Tra uno stop e l’altro dei lavori, Fi, Dc e Lega hanno concordato di non presentarsi in aula, mentre l’Mpa è rimasto, nei banchi del governo solo i quattro assessori di Fratelli d’Italia e il tecnico all’Economia Dagnino mentre gli scranni degli altri componenti della giunta sono rimasti vuoti, compreso quello del vice presidente Luca Sammartino (Lega). Una strategia quella di Fi e degli alleati escogitata per cercare di stoppare la debacle della manovra.
L’aula comunque è andata avanti votando in modo palese gli articoli, compresi i due che contenevano i cosiddetti interventi territoriali tanto cari ai deputati della maggioranza: sono stati tutti bocciati. Vana la richiesta del numero legale avanzata dal deputato Marco Intravaia, rimasto in aula proprio per la strategia concordata. Ma non era stato calcolato l’imprevisto. Il numero legale c’era. “Presidente ci sono più tesserini inseriti che deputati in aula, chiedo una verifica”, ha urlato Intravaia, rivolgendosi alla presidenza a nome del gruppo di Fi. “E’ tutto in regola”, ha replicato il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno. E il deputato del Pd, Antonello Cracolici, ha aggiunto: “Nella passata legislatura l’ex presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè ha dato una precisa interpretazione: il numero legale dipende dal numero dei tesserini inseriti e non dal numero dei votanti”. E così il massacro della manovra è andato avanti.