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L’ultimo saluto a Paolo, giovane ucciso con un colpo di pistola mentre sedava una lite 

Una cattedrale gremita ha accolto con un lungo applauso la bara di Paolo Taormina ucciso sabato notte con un colpo di pistola

Pubblicato 6 ore fa

È una cattedrale gremita quella che stamattina, a Palermo, ha accolto con un lungo applauso la bara di Paolo Taormina, il giovane di 21 anni ucciso sabato notte con un colpo di pistola davanti al suo locale di via Spinuzza, in centro. A sparare Gaetano Maranzano, 28 anni, per cui ieri il gip ha convalidato il fermo e disposto la misura cautelare in carcere. Per oggi il sindaco di Palermo Roberto Lagalla ha proclamato il lutto cittadino.

 La madre, Fabiola Galioto, il padre Giuseppe e la sorella Sofia siedono in prima fila. Al funerale anche il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, che visibilmente commosso ha abbracciato la madre di Paolo. Tra i politici sono presenti il presidente della Regione Renato Schifani, il presidente del Consiglio comunale Giulio Tantillo, assessori e consiglieri. 

 Sulla bara bianca sono poggiati due cuori di rose bianche e rosse con le iniziali del giovane, P. T. La bara è circondata dagli amici del giovane, seduti a terra, con le gambe incrociate. Indossano una maglietta con una foto che ritrae Paolo e la scritta “Sarai per sempre nei nostri cuori”.

“Un dolore inconsolabile. Un urlo che arriva fino al cielo. È assurdo che un figlio venga rubato ai genitori, alle sorelle, ai fratelli, agli amici. Al suo lavoro e alla comunità cittadina. Siamo qui, raccolti e chiamati da Paolo che è stato ucciso. Chiamati dai figli di Rachele, da Abele, da tutti gli uccisi dalla violenza omicida. E non abbiamo parole. Perché di fronte al dolore abissale e inspiegabile, le parole non sono nulla”. Così l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, nell’omelia per le esequie Paolo Taormina. “Gli amici di Giobbe – come si legge nella Bibbia – che provano a giustificare la catena di disgrazie cadute addosso al loro povero compagno, mettono in scena una parodia della giustizia, una inutile difesa di Dio, di fronte alla quale Giobbe ricorda loro il rispetto che si deve al dolente: ‘A chi è sfinito è dovuta pietà dagli amici, anche se ha abbandonato il timore di Dio’. E questo rispetto è fatto di prossimità e di silenzio. Nel silenzio proviamo a comprendere una goccia dello strazio di voi genitori, parenti, amici, della città tutta”. Pronunciando i nomi dei familiari della vittima (Giuseppe, Fabiola, Sofia e Mattia), Lorefice ha detto: “Piango e con voi rivolgo al Signore la domanda terribile che urla nei vostri cuori: perché? Sono con voi per dirvi che Paolo non è scomparso, non è finito nel nulla, egli vive anche nel cuore di Cristo”. “Nessuna motivazione rende legittima l’uccisione di un uomo. E piangendo per Paolo – aggiunge l’arcivescovo – piangiamo per tutti i morti, uccisi dalle guerre, dalla mafia, dalla violenza, dal narcisismo delirante, dal culto della forza virile. La giustizia deve fare il proprio corso. Ma scacciamo dal nostro cuore la voglia di uccidere Caino”. “Non sono gli eserciti, non sono le forze di polizia, col loro pur encomiabile servizio, a cui siamo gratissimi, che potranno estirpare la violenza omicida. Possiamo essere solo noi, insieme. Può essere solo Palermo tutta a mettere fine alla spirale della violenza, attingendo alle sue energie interiori, alla sua storia, alla sua umanità. Torniamo a educare, a coinvolgerci, a costruire relazioni, a impiegare energie per ritrovare un senso comunitario della vita – ha aggiunto Lorefice -. A visioni di governo delle città, di questa nostra tormentata città di Palermo, nel segno dell’umanità e con uno sguardo dal basso: serviamo la vita. Ogni vita è sacra, ogni volto è il centro della città, destinatario di attenzione e cura”.

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