Agrigento

Livatino, morto per fare la guerra? L’intervista al direttore Franco Castaldo

L'intervista è stata registrata per il convegno "Messaggeri di Legalità: f(o)rmati contro la mafia" svoltosi all'Università Bicocca di Milano

Pubblicato 2 settimane fa



Sono già passati tre anni dalla grande cerimonia di beatificazione, 9 maggio 2021, di Rosario Angelo Livatino, magistrato ucciso a 38 anni, “in odium fidei”, da killer mafiosi il 21 settembre 1990. La reliquia della camicia intrisa di sangue indossata la mattina della morte è stata portata in pellegrinaggio in molte parrocchie e scuole della Sicilia e non solo.

A conclusione di un convegno organizzato dall’Università Bicocca di Milano “Messaggeri di Legalità: f(o)rmati contro la mafia”, la giornalista Irene Milisenda, nel corso di una lezione universitaria, ha presentato agli studenti del corso di Economia e Giurisprudenza, chi era il giudice ragazzino, e lo ha fatto dialogando con il direttore di Grandangolo Agrigento Franco Castaldo, che nel 1990, quel 21 settembre, da giovane cronista, si recò sul viadotto Gasena, lungo la strada statale 640, per raccontare quel tragico episodio, che lasciò attoniti tutta la comunità agrigentina.

Avevo 31 anni, giovane cronista alle prese con il primo caso di cronaca, l’uccisione di un magistrato. Di quel giorno ricordo la confusione, la commozione, l’incredulità negli occhi della gente, perchè Livatino non era solo un bravo magistrato, fu un Uomo mite, di grande fede e nessuno si aspettava di vedere quelle immagini brutali, il corpo in fondo a quella scarpata. Ricordo che sul posto oltre alle forze di polizia, c’era il giudice Falcone, Borsellino, c’era lo Stato. Un episodio clamoroso di violenza“, racconta Franco Castaldo.

Il giorno dei funerali, che si svolsero il 23 settembre del 1990, sul giornale La Sicilia, un articolo a firma di Castaldo: “Morto per fare la guerra?” Le indagini su una pista agghiacciante: il giudice ucciso per mettere in difficoltà i vecchi boss dell’Agrigentino“. Un interrogativo importante, un articolo “profetico” perchè di fatto, come spiega il direttore di Grandangolo, “da quell’omicidio, che anticipò la vera guerra di mafia che si è combattuta in mezza Sicilia, si cominciò a capire che c’era una mafia contrapposta a Cosa Nostra, che poi venne indicata con Stiddra, e quello del giudice fu proprio il primo omicidio eccellente”.

Si racconta che il giudice Livatino il giorno dell’assassino abbia visto in faccia i suoi assassini; fondamentale e di grande importanza una testimonianza. Tanti sono stati i processi giudiziari, dove vennero in un primo momento individuati i sicari, e poi uscirono fuori i nomi dei mandanti. Tutte sentenze che portarono a delle condanne definitivee. “I killer palmesi, da quanto appreso dai processi, non conoscevano e non sapevano chi fosse il giudice Livatino, ma lo conoscevano bene gli Stiddari di Canicattì”, dice Franco Castaldo.

Sono passati 33 anni dall’uccisione del giudice Livatino, figura ormai diventata emblema tanto nella giustizia quanto per la Chiesa, ma cosa resta della sua figura? “Resta il suo operato, non solo professionale ma anche umano, resta la sua abnegazione nell’esercitare la professione da magistrato, resta il suo sacrifico a rinnovare le coscienze della comunità siciliana”, ha concluso Franco Castaldo.

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