Agrigento

Pentecoste, l’arcivescovo Damiano: “siamo una chiesa unita, senza odio e violenza”

L'arcivescovo dal letto dell'ospedale dove si trova ancora ricoverato a seguito dell'incidente rivolge un messaggio alla comunità

Pubblicato 4 ore fa

“Carissimi, viviamo questa Pentecoste facendo nostro il desiderio di Papa Leone: quello di «una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato. In questo nostro tempo, vediamo ancora troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri. E noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità. Noi vogliamo dire al mondo, con umiltà e con gioia: guardate a Cristo! Avvicinatevi a Lui! Accogliete la sua Parola che illumina e consola! Ascoltate la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia: nell’unico Cristo noi siamo uno» (Leone XIV, Omelia per l’inizio del ministero petrino). Nell’augurarvi una buona Pentecoste, con voi invoco dal Risorto il dono dello Spirito perché come fuoco d’amore rinsaldi i nostri vincoli di comunione, come luce beatissima illumini i nostri cammini di fede, come vento impetuoso si abbatta sulla nostra Chiesa di Agrigento.”

Questo il messaggio rivolto alla comunità agrigentina da parte dell’arcivescovo di Agrigento, mons. Alessandro Damiano, che si trova ancora ricoverato all’ospedale “San Giovanni di Dio”, in seguito all’incidente stradale.

“Questo tempo di solitudine e precarietà che segue l’incidente di sabato 24 maggio si sta trasformando provvidenzialmente in uno spazio di nuova creazione che Dio permette nelle nostre vite. Il Signore, infatti, mi sta visitando con la premura e l’affetto di questo presbiterio e di questa Chiesa, dei confratelli vescovi e della società civile, dei familiari e degli amici di sempre. Egli, inoltre, mi circonda di attenzione anche attraverso la professionalità e la sensibilità dei medici, degli infermieri e di tutto il personale che si stanno prendendo cura di me, non solo dal punto di vista fisico, ma anche di quello emotivo e spirituale. La degenza, che non è riposo ma fatica, si sta rivelando anche un invito a scoprire la fragilità del corpo quale ponte sottile per coabitare con il dolore e riconoscersi vulnerabili. Questa povertà del corpo, che impone la necessità di affidarsi a quanti lo curano, è palestra per fidarsi – con libertà e disponibilità – di Dio, che solleva nella debolezza e sostiene nel bisogno, che riempie la solitudine e dona la pace, che ascolta la voce rotta dal pianto e incoraggia nella prova. In questi giorni porto nel cuore, con preoccupazione, ma anche con fiducia, tutti coloro che sono stati coinvolti nell’incidente stradale. Confido che per loro continui a salire la vostra preghiera”.

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