Agrigento

Ritroviamo una Jenny brechtiana in “Stanno sparando sulla nostra canzone”

Bisogna amarla molto Veronica Pivetti per stare dietro la sua continua e movimentata comprensione del mondo e di se stessa. Lo ha fatto Giovanna Gra, sceneggiatrice e produttrice del primo film pivettiano “Né Giulietta  né Romeo” che continua nell’assistenza e nella composizione di questa black comedy o musical rock in scena al Teatro Pirandello “Stanno […]

Pubblicato 1 anno fa

Bisogna amarla molto Veronica Pivetti per stare dietro la sua continua e movimentata comprensione del mondo e di se stessa. Lo ha fatto Giovanna Gra, sceneggiatrice e produttrice del primo film pivettiano “Né Giulietta  né Romeo” che continua nell’assistenza e nella composizione di questa black comedy o musical rock in scena al Teatro Pirandello “Stanno sparando sulla nostra canzone”. Più che black o dark a noi è sembrata una ulteriore disperata ricerca di se stessi per una attrice già onusta di fiction, doppiaggi, esperienze amorose che decide finalmente di smettere di capire il mondo come lo si è capito fino a quel momento per avventurarsi verso una forma di comprensione nuova, regalandosi (e regalandoci) un racconto intricato fino al punto che il finale rimane aperto e lascia allo spettatore la scelta di quali fili tirare. Una comprensione del mondo che la Pivetti ci aveva ben delineato nel suo libro “Per sole donne” dove già si avvertiva la stanchezza di sopportare il pover’uomo d’oggi in preda al panico da prestazione, alle sue fragilità emozionali, già dissestato come nel film “Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica” di Lina Wertmuller e interpretato da Veronica Pivetti.

Due film e un libro che la Pivetti ha attraversato come forche caudine per approdare a questo musical ambientato negli anni venti a Manhattan ma che ci è parso invece avere una temperie da repubblichetta di Weimar con la protagonista che si fa chiamare Jenny Talento ma che ci ricorda la Jenny delle spelonche dell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht. E a nulla valgono, per distoglierci da questa impressione, le musichette americane che Christian Ruiz e Brian Boccuni interpretano in maniera formidabile insieme alla Veronica.Canzonette però, per intenderci, sillabate in maniera delinquenziale come un “Besame mucho” rabbioso e fetish e quell’altra soavissima canzone che Marylin Monroe  indirizza a Lemmon e Curtis in “A qualcuno piace caldo”: “Wanna be loved you”.

Una bella rivalsa per la Pivetti l’assunzione di queste atmosfere dark, proprio lei che aveva esordito con la umile e sottomessa Fosca  del film di Verdone “Viaggi di nozze”. Fortemente probabile che nelle varie fiction televisive la Pivetti si sia accorta che  nella” finzione” si cela la vera essenza della vita, la sua gratuità. Un disvelamento che in molti casi fa superare la nausea (sartriana) e la noia (moraviana) anche con l’attraversare questo turbine metaforico di Jenny fatto di violenza, crudeltà, disordine e negatività. In più, azzardiamo a dire, che c’è qualcosa di  previsione conturbante in questa pièce che richiama la Berlino del dopoguerra, incubatrice dell’uovo del serpente (come lo chiama Bergman nel suo omonimo film), del nascente nazismo che sottoproletariato e borghesia riuscirono a percepire quando era troppo tardi. Appunto perché avevano rinunciato a capire il mondo. C’è un bellissimo momento nel finale di questo “Stanno sparando…”, c’è la nostalgia di un mondo migliore allorchè riecheggiano le note di “Moon River” in “Colazione da Tiffany” e la Pivetti si commuove fino alle lacrime che non sfuggono al 300 mm con cui riusciamo a “fermare” quel momento.

Foto di Diego Romeo

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