Agrigento

Al Teatro Pirandello sei magnolie d’acciaio

Per la regia di Michela Andreozzi e Massimiliano Vado

Pubblicato 2 anni fa

Cominciamo col dire che quello di “Fiori d’acciaio” è il più bel manifesto che abbia ingentilito i muri decrepiti di Agrigento.

Segno anche di quanto il produttore Francesco Bellomo abbia tenuto alla divulgazione di questa opera di Robert Harling scritta nell’85, in tempi ancora profumati di colazione da Tiffany e poi tristemente deflagrati nelle casalinghe disperate e nelle matriarche di sex and the city.

A poco sono valsi i consigli  che il presbiteriano Harling forniva qualche anno dopo al “Club delle prime mogli” scrivendone una sceneggiatura che oggi non sarebbe dispiaciuta al vendicativo MeToo.

Prosegue quindi il cartellone teatrale della Fondazione Teatro sotto il segno di un inchino al femminismo d’antan che connota l’attuale governance di centro destra e che tra l’altro con molto coraggio e determinazione ha promosso un concerto per la pace in controtendenza al melonismo governativo che a Roma vota per il riarmo sottraendo i fondi all’assistenza sociale.  

Probabilmente Agrigento sarà l’ultima sede della  fortunata tournèe  di “Fiori d’acciaio”, magnolie che si piegano ma non si spezzano, di un ensemble rodatissimo sottratto da Bellomo agli impegni cinetelevisivi dei protagonisti solitamente impegnati in ruoli a loro consoni e diretti da Michela Andreozzi e Massimiliano Vado che Bellomo ha strategicamente scelto senza nulla rischiare perché poi si scopre che Andreozzi – Vado sono compagni nella vita e che ancora perseverano a raccontarci i progressivi spostamenti dei cuori infranti su letti disfatti con il loro “Love Match”.

Del resto cosa siano e cosa abbiano rappresentato le barberie e le parrucchierie ce lo hanno cantato e suonato dal cortile degli aragonesi al nostrano Maurizio Piscopo e francamente ci sembra scontato ricorrere alla globalizzazione per dire che in Louisiana (dov’era ambientata la pièce di Harling) o a Sorrento, sul “ballatoio” si alternano le più varie categorie umane di “comari” (e qui appunto di sole donne) che alla fine trovano il modo di compatirsi e solidarizzare anche a causa di un tragico evento.  

Protagoniste tutte solidamente “incastrate” nei loro ruoli, a  iniziare dalla scanzonata  e compiaciuta vedova riccastra di Emanuela Muni, alla compassata malinconia della Giulia Weber, al sofferto ruolo di madre di Tosca D’Aquino, all’accorta mediatrice Rocio Muñoz Morales che bisognerebbe mandare in delegazione da Putin, alla dolcina Martina Difonte, musa fuori scena del rapper Clementino e a Emy Bergamo.

In definitiva si finisce con l’essere certi che Andreozzi e Vado non abbiano sofferto molto nell’impartire istruzioni. Scene di Carlo De Marino, costumi di Maria Gentile, musiche di Roberto Procaccini.

Prossimo appuntamento il 23 e 24 aprile con “Uno Nessuno Centomila” con Pippo Pattavina.

Foto di Diego Romeo

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