Agrigento

Armi e munizioni in villa: boss Massimino condannato a 7 anni e 4 mesi

I giudici della prima sezione penale del Tribunale di Agrigento, presieduta da Alfonso Malato con a latere i giudici Giuseppa Zampino e Alfonso Pinto, hanno condannato Antonio Massimino ed il nipote Gerlando per la vicenda legata al ritrovamento di alcune armi clandestine e munizioni all’interno della villa del boss agrigentino in contrada Gibisa. Sette anni […]

Pubblicato 4 anni fa

I giudici della prima sezione penale del Tribunale di Agrigento, presieduta da Alfonso Malato con a latere i giudici Giuseppa Zampino e Alfonso Pinto, hanno condannato Antonio Massimino ed il nipote Gerlando per la vicenda legata al ritrovamento di alcune armi clandestine e munizioni all’interno della villa del boss agrigentino in contrada Gibisa. Sette anni e quattro mesi la condanna inflitta ad Antonio Massimino mentre quattro anni, cinque mesi e dieci giorni sono stati inflitti al nipote Gerlando, considerato colpevole in concorso. 

Questa mattina il processo si era aperto con il rigetto delle istanze sollevate dall’avvocato Salvatore Pennica, che rappresenta gli interessi dei Massimino. Questa circostanza – di fatto – aveva “spianato” la strada all’accusa, sostenuta in aula dal pm Gloria Andreoli. Il sostituto procuratore aveva chiesto la condanna a 13 anni (e 35 mila euro di multa) nei confronti di Antonio Massimino mentre 11 anni erano stati avanzati nei confronti del nipote. 

Subito dopo la requisitoria del pm la parola è passata all’avvocato Pennica per l’arringa difensiva: il legale dei Massimino ha contestato la formazione della prova (il video che è stato al centro delle ultime udienze) sostenendo la non utilizzabilità ai fini processuali perché disposta in altro procedimento. La difesa ha, inoltre, rimarcato la circostanza che Antonio Massimino, dopo un silenzio di venticinque anni (si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere), ha reso in questo processo dichiarazioni spontanee addossandosi di fatto la colpa di quanto contestato nel tentativo di scagionare il nipote. Tesi che ha sostenuto anche la difesa, che ha criticato il capo di imputazione del concorso, perché non ci sarebbe la prova che il nipote sapesse l’esatto contenuto dei sacchetti “incriminati”. 

La vicenda risale al marzo 2019 data dell’arresto in flagranza dei due Massimino: i carabinieri della Compagnia di Agrigento, nel corso di un’attività info-investigativa, riprendono in contrada Gibisa Antonio Massimino, insieme al nipote, maneggiare un sacco nero dove, in seguito a perquisizione, verranno ritrovate una pistola calibro 7.65 con matricola abrasa, oltre 150 munizioni e due penne-pistola, una delle quali risultata però non funzionante. 

Questa mattina la condanna dei due Massimino. Lunedì mattina si aprirà, invece, il processo scaturito dall’inchiesta della Dia di Agrigento guidata dal vicequestore Roberto Cilona denominata “Kerkent” che avrebbe fatto luce proprio sulla scalata al vertice della famiglia mafiosa di Agrigento del boss Antonio Massimino. La difesa ha comunque già preannunciato ricorso in Appello. 

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