Borsellino, i verbali di Patronaggio al Csm subito dopo la strage
La sua testimonianza, così come quella dei suoi colleghi, fa emergere il clima e le condizioni in cui magistrati come Paolo Borsellino operavano
La relazione su mafia e appalti, le spaccature all’interno della Procura di Palermo, una strategia poco efficace nella lotta alla criminalità organizzata. A distanza di trent’anni dalla strage di via D’Amelio il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura ha desecretato i verbali delle audizioni dei magistrati della procura disposte nei giorni 28, 29, 30 e 31 luglio 1992, pochi giorni dopo l’omicidio del giudice Paolo Borsellino, dal ‘Gruppo di lavoro per gli interventi del Csm relativi alle zone più colpite dalla criminalità organizzata’.
Quei verbali, rimasti segreti per tre decenni, sono adesso pubblici e consultabili. Tra i magistrati auditi in quell’occasione c’è anche Luigi Patronaggio, ex procuratore capo di Agrigento e oggi procuratore generale a Cagliari, ma all’epoca dei fatti giovane sostituto procuratore che si era insediato a Palermo da un paio di mesi. Patronaggio, che peraltro era di turno sia per la strage Falcone che in quella di Borsellino, risponde alle domande dei colleghi del Csm. La sua testimonianza, così come quella dei suoi colleghi, fa emergere il clima e le condizioni in cui magistrati come Paolo Borsellino operavano.
31 LUGLIO 1992. ECCO IL VERBALE DELL’AUDIZIONE
“Sono il dott. Luigi Patronaggio, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo dal 13 maggio di questo anno cioè da pochi mesi sostanzialmente. Da pochissimi mesi. Provengo da due anni di giudice istruttore a Trapani, tre anni sostituto procuratore a Termini Imerese. Pur non conoscendo personalmente fatti e cose relative a Palermo evidentemente mi occupo dal 1988 di fatti di criminalità organizzata e mafiosa. Per cui non posso riferire di fatti specifici di Palermo ma soltanto quello che è l’umore dell’ambiente. Peraltro ho partecipato a entrambi i sopralluoghi sia della strage Falcone che della strage di Borsellino perché per un caso ero di turno di lavoro.”
SCARSA ATTENZIONE SU MALAFFARE, APPALTI E POLITICA
“ Io ho aderito poi a questo documento di sostegno fatto dai non appartenenti alla Dda perché tutti ci siamo convinti, in diverse riunioni che si sono tenute dalla strage di via D’Amelio in poi, che la via giudiziaria alla lotta alla mafia non poteva continuare così, per così per come è stata fatta oggi, perché evidentemente vi era una sovraesposizione della magistratura e dei singoli magistrati e pertanto bisognava dare una segnale forte e bisognava concretamente reclamare che oltre all’impegno delle forze dell’ordine occorrerebbe una seria svolta politica di moralizzazione della politica e soprattutto, voglio dire per quello che è la mia esperienza diretta di fatti di criminalità, debbo registrare una scarsa attenzione di tutti per quello che è il malaffare nella vita politico-amministrativa e specialmente nel settore degli appalti pubblici, e ancor di più in tutte le attività che sono connesse agli appalti pubblici, per cui subappalti. E questa scarsa attenzione a questo gravissimo nodo tra criminalità mafiosa e malaffare politico-amministrativo, ritengo che sia un punto qualificante di una nuova strategia della lotta alla mafia. Sebbene non abbia conoscenza diretta delle carte relativa all’omicidio Lima, per intenderci, tuttavia ritengo che bisognerebbe leggere attentamente le carte sequestrate e i documenti sequestrati nella sede dell’onorevole Lima, non lo so se si stanno facendo ma la mia è una riflessione che parte da una precedente scarsa attenzione a questo nodo.”
BORSELLINO E LA RELAZIONE SU MAFIA E APPALTI
“Il 14 luglio viene convocata una riunione per saluto del Procuratore prima delle ferie per cui vadoalla riunione ritenendo che sia un saluto, una sorta di consegne prima di andare in periodo feriale. In realtà il Procuratore Giammanco ha espressamente invitato determinati colleghi a parlare dei singoli processi per dare spiegazioni agli altri colleghi delle polemiche che erano scaturite sui giornali. A quanto punto è evidente che il collega chiede una cosa, l’altro collega ne chiede un’altra, Paolo Borsellino chiede spiegazioni su un procedimento riguardante Angelo Siino e altri, e capisco che qualche cosa non va perché mi sembra insolito che si discuta così coralmente con delle proprie relazioni dei colleghi assegnatari dei processi, una riunione che doveva avere tutt’altro carattere se non quello di salutarci ma anche dal modo incui venivano esposti che erano sostanzialmente delle difese, sono delle difese, come difendersi dagli attacchi dell’opinione pubblica, dagli attacchi di parti politiche e così via, comunque capisco che c’è qualcosa che non va e poi chiaramente ne ho conferma nei giorni immediatamente successivi con le tre riunioni che si sono verificate fino ad arrivare alla riunione del 20 luglio (giorno dopo la strage). Per quel che ne so io, che sono qui da maggio, prima di questa riunione ho partecipato solo ad un’altra riunione allargata perché le riunioni della Dda erano invece molto più frequenti mentre le riunioni dell’ufficio avevano una cadenza meno frequente. Per cui avevo partecipato solo ad un’altra riunione in cui si parlò di problemi veramente banali, ma a livello di fascicolazioni d’ufficio, di turni, roba veramente banale e i colleghi non appartenenti alla Dda mi dicevano che si trattava di roba di poco conto e di basso livello per cui dico ma io non ho esperienza diretta perché un’altra sola, per quanto riguarda il tono di queste scuse, spiegazioni ecco, fu lo stesso procuratore Giammanco che disse facciamo chiarezza, spieghiamo una buona volta, fughiamo i dubbi, invito il collega a fare chiarezza così tutto debba essere trasparente e cristallino e Borsellino in questa ottica chiese spiegazioni su questo processo contro Angelo Siino perché lui aveva percepito che vi erano delle lamentele dei carabinieri verosimilmente e chiese delle spiegazioni che non erano tanto di carattere tecnico, cioè se era stata fatta o non era stata fatta una cosa, ma più che altro era il contorno generale del procedimento chi c’era e chi non c’era, perché poi un buona sostanza la relazione sul processo Siino fu fatta unicamente, esclusivamente per dire che non vi erano nomi di politici rilevanti all’interno del processo o che se vi erano nomi di politici di un certo peso entravano soltanto per un mero accidente che comunque insomma non ecco allora la spiegazione diBorsellino fu che chiese spiegazioni fu di carattere estremamente generale, chi erano i politici ma perché .. insomma cose di questo genere non erano singoli fatti, singoli atti istruttori. I carabinieri si aspettavano molto di più da questo rapporto, cioè non uno sviluppo processuale e, ma lo disse espressamente anche in assemblea, voglio dire disse espressamente in assemblea che i carabinieri si aspettavano da questa informativa dei risultati giudiziari di maggiore respiro. Non soltanto nei confronti dei politici, anche nei confronti degli imprenditori, perché il nodo era, il nodo era valutare a fondo la posizione degli imprenditori, e su questo punto peraltro il collega Lo Forte si dilungò spiegando il delicato meccanismo e la delicata posizione dell’imprenditore in questo contesto, queste furono le spiegazioni date e chieste.”
LA RIUNIONE IN PROCURA DOPO LA STRAGE
“In ordine alla riunione del 20 luglio devo premettere che siccome il 19, giorno della strage di via D’Amelio, ero di turno insieme al collega Pilato e abbiamo fatto gli atti urgenti fino a tardi notte, l’indomani di buon’ora mi sono recato all’ufficio del Procuratore un po’ per relazione, un po’ per scambiare due battute, un po’ per sapere cosa era successo nella notte perché ero a conoscenza di una riunione tenutasi in Prefettura ai massimi livelli. Mi reco la mattina nell’ufficio del Procuratore e lo trovo abbastanza agitato, scocciato, molto amareggiato. Oltre a me erano presenti i colleghi Lo Forte, Pignatone e poi intervenne il procuratore generale Siclari. Agata Consoli venne, entrò nella stanza in un secondo momento e io mi trovavo lì perché ero di turno. Gli applicati erano lì per prendere disposizioni. Siccome ero stato coinvolto in prima persona negli atti urgenti mi sembrò giusto mettermi a disposizione anche per l’indomani e lo trovai molto amareggiato e diceva a tutti chiaramente che non aveva più intenzione di subire questi attacchi ingiusti da parte della stampa, di non avere le giuste solidarietà da parte dei vertici istituzionali e delle forze politiche, e allora il Procuratore Generale disse ma forse è bene parlarne con i sostituti, chiedere ai sostituti se sono d’accordo e cose del genere, e Giammanco poi disse fate quello che volete,se volete fare la riunione fatela e fece capire che avere un gesto di solidarietà dei colleghi di questa impressione, di questa impressione manifesta per la verità il Procuratore Generale se ne fece carico e anche io ero nella stanza e che fino a quel momento non avevo percepito la gravità delle divergenze, delle spaccature, dissi al procuratore non c’è migliore sede che una assemblea di ufficio per discutere di queste cose. I colleghi Pignatone e Lo Forte che erano presenti e che chiaramente avevano maggiore conoscenza delle dinamiche dell’ufficio sicuramente fecero subito presente che in realtà si trattava di un’assemblea inopportuna in quel momento e che forse era meglio soprassedere per avere un momento di riflessione. Alla fine però si decise di fare l’assemblea. Lo decise il Procuratore Generale con l’avallo del Procuratore Giammanco, poi Lo Forte e Pignatone dissero al Procuratore Giammanco che se lui riteneva che l’assemblea sarebbe stato un momento di chiarezza loro erano d’accordo e che si sarebbero affidati agli altri per convocare gli altri colleghi. Io in tutta buona fede dissi che era meglio forse chiarirsi le idee. Giammanco diceva chiaramente che lui insisteva nelle sue dimissioni, che già oralmente aveva dato al Guardasigilli, la notte precedete, che lui non sarebbe tornato indietro sui suoi passi se non avesse avuto un segno di solidarietà. Una attestazione. Il sostegno dei sostituti poteva essere il primo segnale di solidarietà che lo avrebbe indotto a restare al suo posto. Ed io, in perfetta buona fede, in quel momento dissi che la migliore cosa era confrontarsi. L’assemblea venne convocata informalmente per le nove e trenta e i colleghi Lo Forte e Pignatone e anche io cominciammo a girare per le stanze per portarci nel luogo dell’assemblea. Sennonché invece poi slittò alle 12:30/13 perché si fecero tutta una serie di pre-assemblee nelle varie stanze. E lì presi atto che effettivamente c’erano delle spaccature, delle divergenze che poi sfociarono nel non documento, nella non presa di posizione dell’assemblea. L’idea del documento circolò, ma non ricorso se fu Pignatone o Lo Forte, comunque colleghi che avevano un minimo di esperienza,dissero che chiaramente era difficile formare un documento di solidarietà in quel momento e che pertanto, forse, se vi era la possibilità di trovare una soluzione questa al limite bisognava faticosamente cercarla in assemblea. Il Procuratore Generale in quel momento richiamava al senso di attaccamento alle istituzioni e al dovere. Cioè vuol dire di raccogliersi a far fronte comune, a trovarsi sulla stessa linea perché il momento era grave. Non disse di dare solidarietà ma di trovare un accordo di sensibilità istituzionale in quel momento. Per cui non fece riferimento ad un documento di solidarietà ma ci fece presente che il momento era grave che in quel momento l’ufficio doveva presentarsi unito a prescindere da quelle che poi erano le opinioni personali, le divergenze con il Procuratore.”
IL DOCUMENTO DEGLI OTTO MAGISTRATI DELLA DDA
“Il parto del documento dei colleghi dimissionari della Dda è stato un parto lungo e difficile, per usare una metafora, e fu preceduto da diverse riunioni informali nelle singole stanze che erano aperte a tutti tant’è che io non faccio parte della Dda ma sono andato a confrontarmi con i colleghi più di una volta sia nella stanza del collega Morvillo, sia nella stanza del collega Teresi, sia nella stanza del collega Scarpinato. E’ vero invece che già si sapevano a priori quei colleghi della Dda che non avrebbero sottoscritto nessun documento, anche di critica oggettiva al sistema istituzionale di lotta alla amfia, che era il minimum a cui si cercava l’accordo. Non so se mi sono spiegato. Voglio dire che il punto minimo in cui i colleghi della Dda cercavano l’accordo era una critica forte all’apparato dello Stato che fino a quel momento aveva combattuto male la mafia, per cui erano critiche che dovevano essere rivolte essenzialmente al Ministero dell’Interno, al Prefetto, al Questore, alle forze di polizia in genere. Per cui, chi non era d’accordo su questo minimo evidentemente già si era sostanzialmente estraniato dagli otto per cui non partecipò a nessuna riunione, ma non perché le riunioni erano chiuse o perché non si dava accesso ai dissenzienti ma perché non erano d’accordo neanche sul punto minimo del documento. Che poi all’interno di coloro che hanno stilato il documenti vi erano sfumature e che queste sfumature poi sono costate tre giorni per mettersi d’accorso su come scrivere il documento, questo è verissimo, ma questo non significa che le riunioni erano chiuse o che non si poteva partecipare. Semplicemente che i colleghi della Dda non hanno firmato questo documento non erano d’accordo neanche sulla parte minima del documento, neanche nella parte più universalmente condivisibile. Secondo loro si fa un documento ed, inevitabilmente, si parte dalla piattaforma e se non sei d’accordo sulla piattaforma minima non ci può essere neppure confronto. Per quanto riguarda il fatto che fosse preconfezionato non è vero. L’unica cosa di preconfezionato, se così si può dire, era un appendice al documento dei dimissionari della Dda in cui sostanzialmente chiedevano solidarietà agli altri colleghi. Questo si era confezionato ma questa sorta di appendice venne chiaramente disattesa, infatti tutti i colleghi non appartenenti alla Dda ci siamo riuniti in una stanza, ci siamo confrontati e non abbiamo tenuto in nessun conto quelle quattro righe di solidarietà che avevano preparato i colleghi della Dda e abbiamo fatto un altro documento in piena autonomia. Io ricordo perfettamente che la richiesta di assembla fu avanzata da due colleghi in particolare, Cartosio e Pilato. Però il collega Cartosio, prima di chiedere di confrontarsi in assemblea, disse chiaramente qual era il suo punto di vista in tutta la vicenda e così il collega Pilato lo fece filtrare. E, chiaramente, il punto di vista di Cartosio era completamente isolato in tutte le sue linee generali, per cui gli altri colleghi che stavano predisponendo il documento ritenevano di non doversi confrontare su questo punto di vista completamente isolato e a sé stante. Ecco perché non diedero corso a questa richiesta di Cartosio che insistette per confrontarsi apertamente, in modo ufficiale.”
LA SPACCATURA IN PROCURA
“Per quanto riguarda l’ultima parte del documento di sostegno da noi sostituti non appartenenti alla Dda che riguarda le spaccature, le divergenze, devo dire che prima della riunione di martedi’ 14 luglio 1992, che è una riunione che il procuratore Giammanco indice prima delle ferie per spiegare un po’ a tutti quelle che erano le linee dell’ufficio e per dare delle spiegazioni alle polemiche che già si leggevano sui giornali,cioè prima di questo momento io non avevo cognizione diretta delle divergenze e delle spaccature, incomincio a capirle, incomincio a capire che esistono queste divergenze proprio da questa riunione perché mi sembra da un lato questa riunione, mi sembra una sorta di scusatio non petita, cioè si invitano i singoli colleghi a parlare di determinati processi perché sono attenzionati dall’opinione pubblica e la cosa mi stupisce, mi stupisce ancora di più quando il collega Borsellino chiede addirittura delle spiegazioni, vuole chiarezza su determinati processi, chiede, si informa, e per cui già capisco che qualche cosa non mi convince, non va. Prendo atto di tutta la sua gravità di queste spaccature all’assemblea del 20 luglio, l’indomani della strage. In perfetta buona fede ritengo che si debba discutere di queste dimissioni ventilate di Giammanco e capisco invece che già vi erano delle grossissime spaccature, divergenze di idee e lo capisco da una serie di tutte pre-assemblee che si vanno svolgendo e allora a questo punto non posso che prendere atto di questa situazione, situazione che non sfocerà, come voi sapete benissimo, perché non si fa nessun documento ma emergono tutta una serie di cosiddette parrocchie, qualcuno si lamenta delle assegnazioni di come vengono fatte, per cui io come sostituto che è entrato a far parte della procura soltanto due-tre mesi prima non posso che prendere atto e registrarne chiaramente nel documento in cui abbiamo solidarizzato con i colleghi dimissionari della Dda, non abbiamo fatto altro che darne atto perché noi altri,cioè io personalmente e altri giovani colleghi, già in queste riunioni abbiamo preso atto in tutta la loro gravità e in tutta la loro serietà.
MISURE DI SICUREZZA INESISTENTI
“Per quanto riguarda le misure di sicurezza per i magistrati bisogna dire che prima della strage di Falcone erano sostanzialmente inesistenti e lo devo dire per quel che riguarda il lavoro dei magistrati in provincia di Palermo, io ho operatoria a Trapani che Termini Imerese e in provincia le situazioni di sicurezza sono veramente carenti, sono carenti. Dopo la strage di Capaci vi fu un primo interessamento ma questo restò sempre soltanto un interessamento di tipo cartolare, cioè si attivarono di più qualche tutela, si accelerarono e diventarono quantitativamente serie, e non qualitativamente, dopo la strage di via D’Amelio. Mi preme sottolineare il fatto che sono misure, quelle odierne dopo la strage di via D’Amelio, quantitativamente efficienti perché effettivamente si è visto uno spiegamento di forze notevole, peraltro io sono stato vittima il giorno prima di venire di un episodio piuttosto pittoresco se vogliamo perché mi trovavo a Termini Imerese nella collaborazione di un processo e sono stato deviato dai marines in autostrada perché c’era dell’esplosivo con grande allarme, questo per dire come a fronte di un numero incredibile di persone buttate sulla strada, a fronte di meccanismi piuttosto vistosi di protezione davanti a determinati obiettivi, poi si scambia in modo, come devo dire, con grande superficialità 80 grammi di polvere nera che serve per fare le cartucce dei cacciatori, insomma per carità le cartucce dei cacciatori con dell’esplosivo serio, ci fanno deviare in autostrada, ci fanno prendere una paura da non poco e poi in realtà i marines avevano trovato 38 cartucce da cacciatore e 80 grammi di polvere nero. Dico per dire come ancora una volta la risposta è saltato di facciata, insomma, è di un mettere su un apparato con questi marines che camminano nei viadotti creando pericolo anche per la circolazione, perché voi immagine i marines che pattugliano il viadotto oppure dentro le gallerie, a piedi con le macchine che sfrecciano. Mentre in realtà forse dico, anche se non starebbe a me dirlo, cioè affidando a dei gruppi di lavoro della polizia, dei carabinieri che facciano uno studio sulle abitudini del magistrato, dove abita, su tutte quelle che sono le sue esigenze, i suoi movimenti, ma anche conoscendo il rischio reale a cui è esposto, perché voglio dire non ha senso per esempio che sotto casa mia hanno messo, all’indomani della strage Borsellino, 350 metri di divieto di sosta e zona emozione mentre davanti a casa di un collega ne hanno messo appena 15 metri, voglio dire siamo a questo livello di pressappochismo.”