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Colpo alla mafia di Santa Margherita Belice, 5 arresti 

Blitz antimafia tra Santa Margherita Belice e Montevago

Pubblicato 2 mesi fa



Sono tutte vecchie conoscenze della mafia belicina i cinque indagati arrestati questa mattina all’alba dalla Squadra mobile di Agrigento, guidata dal vicequestore Vincenzo Perta, in un blitz che ha disarticolato la famiglia mafiosa di Santa Margherita Belice. Al vertice della cosca, nonostante stesse scontando una condanna a 14 anni di reclusione, c’era ancora lui: Pietro Campo. Al boss è stata notificata l’ordinanza di custodia cautelare direttamente in carcere. Campo, il boss nel cuore dell’ex superlatitante Matteo Messina Denaro, è stato per anni il numero due di Cosa nostra in provincia dietro solo al “professore” Leo Sutera. In carcere è finito anche il figlio Giovanni, 34 anni, coinvolto dieci anni fa insieme al padre nell’operazione Icaro ma poi assolto. In manette sono finiti anche Pietro Guzzardo, 46 anni di Santa Margherita Belice, e Domenico Bavetta, 43 anni di Montevago (ai domiciliari). Entrambi erano stati coinvolti nell’operazione Icaro. Tra gli arrestati figura poi Pasquale Ciaccio, 58 anni, pastore di Santa Margherita Belice, già coinvolto nella maxi operazione “Scacco Matto”. Per quest’ultima vicenda Ciaccio è stato condannato a 12 anni e 8 mesi di reclusione

Le indagini, condotte dallo Sco, dalla Sisco di Palermo e dalle Squadre Mobili di Agrigento e Palermo hanno permesso di ipotizzare il pervasivo controllo e la gestione illecita delle attivita’ agro-pastorali sul territorio girgentano di Santa Margherita del Belice, Montevago e Sambuca di Sicilia fino al confine con Contessa Entellina (PA). Gli indagati, avvalendosi della indiscussa forza intimidatoria derivante dall’essere riconosciuti quali esponenti di vertice del mandamento mafioso di Santa Margherita di Belice, avrebbero attuato un incisivo controllo sull’economica agro-pastorale dell’area nonche’ sul connesso utilizzo dei fondi agricoli dell’entroterra belicino. In particolare, sono stati registrati diversi episodi in cui gli indagati, avvalendosi del metodo mafioso, avrebbero costretto i proprietari ed i gestori dei terreni agricoli a cedere la disponibilita’ di ampie aree di terreno da adibire al pascolo abusivo del bestiame, imponendo il pagamento di canoni irrisori che, in taluni casi, non sarebbero stati nemmeno corrisposti. Il controllo dei terreni agricoli si sarebbe tradotto, in taluni casi, anche in un divieto di esercitare attivita’ agricole collaterali che alterassero il libero pascolo delle greggi, cosi’ imponendo di fatto uno stringente predominio su beni immobili altrui, anche funzionale alla massimizzazione dei profitti derivanti dalla produzione lattiero- casearia.

In tale ambito, e’ stata talvolta registrata anche l’assenza di minacce esplicite, potendo gli indagati imporre la propria volonta’ facendo ricorso ad atteggiamenti intimidatori silenti, ai quali ha fatto eco la capacita’ di assoggettamento derivante dal loro riconosciuto ruolo criminale nonche’ i molteplici episodi di danneggiamento (incendio, taglio delle colture e furti di bestiame) – consumati da ignoti – subiti negli anni proprio dai proprietari che avevano deciso, invece, di adibire i terreni a coltivazioni che avrebbero limitato il pascolo delle greggi. In tale contesto di criminalita’ rurale, le indagini si sono avvalse anche del contributo dichiarativo di alcune vittime che si sono opposte al “sistema di controllo” del settore, facendo venire in rilievo anche taluni episodi in cui, all’esito della trebbiatura operata dai proprietari, le derrate sarebbero state indebitamente acquisite ed imballate dagli indagati, senza versare alcun corrispettivo. Lo spessore dei soggetti coinvolti nelle investigazioni ha peraltro evidenziato anche momenti di tensione interna legati al tentativo di alterare gli equilibri del “cartello” stesso; contrasti sempre appianati in una logica di convenienza e di reciproca tutela dei meccanismi di controllo del territorio.

Alle prime luci dell’alba la cittadina dell’agrigentino è stata svegliata dalle sirene della polizia e da un elicottero che per ore ha sorvolato il paese. Santa Margherita Belice è il feudo di Pietro Campo, boss belicino nel “cuore” dell’ex superlatitante Matteo Messina Denaro. Pietro Campo, per anni ritenuto il numero due di Cosa nostra agrigentina dietro soltanto al “professore” Leo Sutera, sta scontando una condanna a 14 anni di reclusione in seguito all’operazione Icaro.

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