Favara commossa per Marianna, l’arcivescovo Damiano: “Oggi è giorno di preghiera e raccoglimento”
Una chiesa gremita per salutare mamma Marianna, la 38 enne di Favara travolta dalla furia dell'acqua quel tragico 1 ottobre
Foto e Video Sandro Catanese
Una chiesa gremita per salutare mamma Marianna, la 38 enne di Favara travolta dalla furia dell’acqua quel tragico 1 ottobre. E’ lutto cittadino a Favara. Ad accogliere la salma davanti la Chiesa Madre il sindaco Antonio Palumbo, le forze di Polizia e tutti i volontari che in questi giorni, per 19 giorni non si sono mai fermati un secondo per cercare e trovare Marianna.
“Questo è momento di preghiera e raccoglimento. In questo circostanze sappiamo bene che le parole sono inutili”, dichiara l’arcivescovo di Agrigento, Alessandro Damiano che celebra la funzione religiosa. “Il salmo ci farà pregare “A te innalzo il mio grido” ecco questo grido Dio lo ha accolto e c’è lo restituisce stasera. La vita non è tolta ma trasformata, e la signora Marianna è stata trasfigurata ma vive nella Pasqua eterna”, ha concluso il vescovo con la voce rotta dalle lacrime.
Alla cerimonia religiosa hanno preso parte molti sindaci dell’Agrigentino, per stringersi tutti accanto alla comunità favarese. “In questo momento di profondo dolore, a nome mio, dell’Amministrazione comunale e dell’intera città di Agrigento, esprimo la più sincera vicinanza alla sua famiglia, che porta sulle proprie spalle il peso più grande di questa perdita. Riposa in pace, Marianna. Che la terra ti sia lieve”, ha dichiarato in una nota il sindaco Franco Miccichè.
L’OMELIA DELL’ARCIVESCOVO DAMIANO
«Dal profondo a te grido, o Signore!». Chissà quante volte, in questi venti giorni, questo grido si è alzato dalla terra fino al cielo. È stato il grido dei familiari e degli amici di Marianna, mentre speravano di poterla riabbracciare o almeno di potere riavere il suo corpo. È stato il grido dei tanti, tantissimi, che l’hanno cercata, senza badare a rischi e fatiche, per tentare l’impossibile. È stato il grido di tutti noi, che con loro abbiamo sperato fino alla fine. E alla fine, di fronte a questo epilogo che nessuno avrebbe mai voluto, sicuramente in tanti, forse tutti, almeno per un momento, abbiamo pensato che Dio quel grido non lo abbia ascoltato.
Oggi però Dio quel grido ce lo restituisce, non come una semplice parola umana, ma come una parola umana che lui ha fatto sua. Quel grido diventato salmo – e dunque Parola di Dio – è la sua misteriosa risposta al nostro dolore: lui era là. Era con Marianna e non l’ha lasciata sola un solo istante. Era con lei quando la paura l’ha spinta a tentare di mettersi in salvo – come tutti avremmo fatto al suo posto – senza rendersi conto del pericolo a cui andava incontro. Era con lei quando la furia della natura, sottoposta a sconvolgimenti climatici che sfuggono alle nostre previsioni e al nostro controllo, l’ha travolta senza lasciarle scampo. Era con lei a consolare la sua anima mentre lasciava questo mondo e a vegliare sul suo corpo in attesa che fosse ritrovato. Era là, quando umanamente non c’è stato più niente da fare e per lei è arrivato il momento di entrare nella vita eterna, dove adesso continua a vivere e dove un giorno potremo ritrovarla e riabbracciarla.
Il nostro grido, che Dio raccoglie e fa suo, la Parola che abbiamo ascoltato ce lo riconsegna come un grido di dolore e, insieme, di speranza. Per il Signore la nostra vita è più preziosa di quanto non lo sia per noi stessi, e, quando tutto sembra finire, lui sa come farlo ricominciare. Tuttavia lo fa in un modo che ai nostri occhi, limitati a questa vita terrena e vincolati alle aspettative umane, resta incomprensibile. E allora quel grido diventa un gemito silenzioso, che parte dall’intimo di ognuno di noi e abbraccia l’intera creazione. Ma sta a noi decidere di cosa riempire questo gemito.
Lo possiamo vivere, infatti, come il gemito della sconfitta, lasciandoci logorare dalla sofferenza che la vita ci riserva e cedendo alla rassegnazione di non poterci più rialzare; oppure lo possiamo trasformare nel gemito dell’attesa, facendo tesoro di tutto il bene che la vita ci offre e aprendoci alla fiducia di potercela ancora fare.
Oggi lo dobbiamo a Marianna, perché il suo ricordo produca frutti buoni, che maturino per la vita eterna nella quale ci ha preceduti. Lo dobbiamo ai suoi sogni di moglie e di mamma, che non si possono spegnere con la sua morte, ma devono generare ancora futuro e bellezza. Lo dobbiamo alle sue premure di figlia, di sorella e di amica, che devono suscitare impegno da parte di tutti e nei confronti di tutti.
Il suo corpo, che tanto abbiamo cercato perché non andasse perduto, sia per i suoi cari e per tutta la nostra comunità il segno della speranza che risale dall’abisso del dolore e della morte. Sia il segno della bontà di Dio verso i suoi figli, che Gesù ci ha manifestato dicendoci ancora una volta: «questa è la volontà di colui che mi ha
mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno». Sia il segno dell’amore fraterno, che non può darsi pace fino a quando non riesce a recuperare tutto ciò che, abbandonato a se stesso, rischia di perdersi per sempre.
Questo corpo ritrovato, destinato a restare impresso nella nostra memoria, ci richiami al valore di tutte quelle cose che in questi venti giorni di ricerca ci ha fatto provare e che dobbiamo imparare a custodire, perché il nostro grido, divenuto gemito silenzioso, si traduca nel gemito dell’attesa piuttosto che in quello della sconfitta.
In questi giorni ci siamo sentiti tutti vulnerabili come Marianna, perché chiunque di noi e dei nostri cari si sarebbe potuto trovare là, in quel posto sbagliato e in quel momento sbagliato. E ci siamo sentiti vicini ai suoi tre bambini – Gresia, Domenico e Azzurra – e al marito Renato, ai genitori – Domenico e Maria – e alle sorelle, di cui – pur nel rispetto di un dolore così intimo – abbiamo condiviso l’angoscia dell’attesa.Questo corpo ritrovato, allora, ci richiami innanzitutto al valore della vita, che è sacra e inviolabile e richiede compassione, attenzione e cura, non solo quando si trova in condizioni disperate, ma sempre e comunque, al di là di ogni tentazione di indifferenza e di superficialità. Ci richiami al valore dei legami fraterni, che ci devono unire tutti come in un solo corpo, che non ammetta divisioni e non tolleri contese.
E in questi giorni – lo dobbiamo riconoscere – abbiamo visto tutt’altro che apatia e lontananza. Abbiamo visto un enorme dispiegamento di forze, che si sono unite e si sono adoperate senza badare a interessi, appartenenze e profitti, con il solo scopo di riportare a casa Marianna o quanto meno di poterne restituire il corpo alla famiglia. Questo corpo ritrovato, dunque, ci richiami anche al valore della solidarietà universale, della responsabilità collettiva e dell’impegno comune, perché i problemi di uno diventino i problemi di tutti e principalmente perché i problemi, anziché dover essere risolti, possano essere prevenuti.
Ma in questi giorni, purtroppo, abbiamo avuto rabbia per una tragedia che si poteva evitare e continuiamo ad avere paura che si possa ripetere ancora. È vero, gli incidenti sono tali perché accadono contro la nostra volontà e senza una nostra scelta consapevole, soprattutto quando sono dovuti a eventi naturali imprevedibili e incontrollabili, ma è lecito e doveroso reclamare maggiori garanzie di sicurezza. Questo corpo ritrovato, pertanto, ci richiami infine al valore di una giustizia che sia efficace in tal senso e che lo sia per tutti: non una giustizia ridotta a vendetta, preoccupata unicamente di punire eventuali colpevoli, ma una giustizia elevata a promozione umana e sociale, capace di riparare possibili lacune e favorire un’esistenza più dignitosa e serena. Se riusciremo a recuperare questi valori a cui il corpo ritrovato di Marianna ci richiama, il nostro grido, divenuto gemito silenzioso e tradotto nel gemito dell’attesa, sfocerà nel canto della Pasqua. E quel canto, a cui lei già partecipa con il suo corpo ormai trasfigurato, piano piano lenirà il nostro dolore e riaccenderà la nostra speranza.