I clan di Villaseta e Porto Empedocle, uno degli indagati collabora e svela le minacce anche dopo il suo arresto
L’uomo, ha dichiarato di temere per i figli raccontando di avere ricevuto minacce il giorno stesso dell’interrogatorio di garanzia
Un nuovo capitolo arricchisce l’ormai nota inchiesta sulle cosche di Villaseta e Porto Empedocle che – in tre distinte operazioni scattate tra dicembre, gennaio e luglio – ha portato all’arresto di oltre cinquanta persone facendo luce non soltanto sulle dinamiche interne ai clan ma anche su un vasto traffico di stupefacenti e su alcuni episodi che hanno creato particolare allarme sociale nell’agrigentino. Uno degli indagati, arrestato nelle scorse settimane nell’ultimo blitz eseguito dai carabinieri, ha deciso di parlare con l’autorità giudiziaria.
Nomi, cognomi e fatti che sono stati messi nero su bianco in due interrogatori resi sia al Gip del tribunale di Palermo, Antonella Consiglio, che ai Pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo Claudio Camilleri e Luisa Bettiol. L’uomo, rispondendo alle domande dei magistrati, ha raccontato le modalità di acquisto dello stupefacente che, in un primo momento, avveniva attraverso Telegram salvo poi entrare in contatto con gli esponenti del clan che gestivano le piazze di spaccio: “Venivano a portarmela dei ragazzi sempre diversi, a volte anche minorenni”. I problemi arrivano in un secondo momento quando – dopo alcuni acquisti a credito – non riesce più a rientrare con i soldi e matura un debito di quasi tremila euro: “Un giorno è venuto Licata (Gaetano, ritenuto il vice capo della cosca di Villaseta, ndr) che non avevo mai visto prima. È arrivato con un’auto con vetri oscurati dove c’erano altre persone. Mi ha chiesto di pagare il debito e io ho chiesto spiegazioni dicendo che non dovevo nulla a lui. Il credito era di circa 2.500/2.700 euro. Lui mi ha dato uno schiaffo e mi ha detto che sapeva tutto di me, anche dove abitavo”.
L’indagato parla anche di James Burgio, ritenuto al vertice del sodalizio: “Mi ha fatto una chiamata su whatsapp e poi una videochiamata perchè gli avevo detto che non credevo fosse lui perchè sapevo che era in carcere. Mi ha insultato, io non gli rispondevo e ho cambiato due volte il numero.”
L’uomo ha raccontato che dal clan ha comprato inizialmente per tre volte quantitativi di 10-15 grammi a volta per poi ricevere in un’unica soluzione 80 grammi di cocaina per un valore di oltre 4mila euro. Una cifra che però non è riuscito a restituire scatenando le ire del clan. L’uomo, finito in manette nelle scorse settimane, ha dichiarato di temere per i figli raccontando di avere ricevuto minacce anche dopo il suo arresto. Qualcuno, il giorno stesso dell’interrogatorio di garanzia, gli ha inviato diversi messaggi con insulti di vario genere apostrofandolo come “sbirro” e “infame”.