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Il finto cardinale e la fantomatica base di Punta Bianca: in 3 dal gup

La vicenda riguarda la presunta maxi truffa su una fantomatica base in costruzione a Punta Bianca

Pubblicato 2 anni fa

Un difetto nella notifica al generale Luciano Portolano, segretario generale della difesa, ha fatto slittare l’udienza preliminare prevista per questa mattina nell’ambito della richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pm Giulia Sbocchia nei confronti di Luciano Montemurro, 62 anni di Favara, e i fratelli Angelo e Diego Favara, 57 e 49 anni, di Canicattì. Le accuse sono associazione a delinquere, truffa e sostituzione di persona. Il gup del tribunale Micaela Raimondo ha così dovuto rinviare la seduta e aggiornarla al prossimo 14 settembre. 

La vicenda riguarda la presunta maxi truffa su una fantomatica base in costruzione a Punta Bianca, che proprio in questi giorni si appresta a divenire riserva naturale, e su falsi posti di lavoro promessi in cambio di tangenti. L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Agrigento, è stata eseguita sul campo dai militari della Compagnia di Canicattì guidati dal maggiore Luigi Pacifico. 

L’inchiesta, denominata “Multilevel”, ipotizza una organizzazione criminale al vertice della quale ci sarebbe stato Luciano Montemurro, ex gestore di un ristorante a Naro. Il 62enne, secondo quanto emerso, si sarebbe spacciato per un cardinale “vescovo di Monreale” al fine di accreditarsi agli occhi delle vittime che – adescate con la speranza di sistemare un parente, un amico o un conoscente – pagavano vere e proprie tangenti che oscillavano da 2 a 4 mila euro. La presunta truffa, secondo l’accusa, seguiva il cosiddetto schema Ponzi: le prime vittime diventavano a loro volta procacciatori di ulteriori vittime. 

Tra le persone offese compare anche il generale Luciano Portolano, agrigentino di nascita, e oggi segretario generale della Difesa: gli indagati avrebbero speso il suo nome per rendere ancora più credibile lil raggiro. Il tutto con l’organizzazione di riunioni in cui venivano mostrati plichi chiusi con timbri in ceralacca, venivano mostrati pre-contratti realizzati ad hoc e riportanti l’intestazione e addirittura i timbri falsi del Gruppo Interforze della Nato. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Calogero Meli, Paolo Ingrao e Angelo Nicotra.

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