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Infiltrazioni mafiose e riciclaggio: sequestrati vigneti e fabbricati a Sambuca (ft e vd)

Sequestrati dalla Guardia di Finanza di Trento vigneti e fabbricati, del valore di oltre 70 milioni di euro, di una ”cantina” siciliana. I militari del Nucleo di Polizia Economica e Finanziaria hanno eseguito il sequestro preventivo, emesso dal gip di Trento su richiesta della Dda, in stretto coordinamento con la Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, […]

Pubblicato 4 anni fa

Sequestrati dalla Guardia di Finanza di Trento vigneti e fabbricati, del valore di oltre 70 milioni di euro, di una ”cantina” siciliana.

I militari del Nucleo di Polizia Economica e Finanziaria hanno eseguito il sequestro preventivo, emesso dal gip di Trento su richiesta della Dda, in stretto coordinamento con la Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, al termine delle indagini in materia di infiltrazione della criminalità organizzata di stampo mafioso nell’economia trentina. 

Già nell’ottobre scorso i finanzieri effettuarono perquisizioni nelle cantine Mezzacorona, nella sede della società cooperativa Sant’Orsola e nella sede di società siciliane. Il gruppo Mezzacorona nel 2001 effettuò un’importante operazione sull’isola. A Sambuca sorse la prima tenuta di Feudo Arancio, attraverso l’acquisto (attraverso la controllata Silene srl) di 255 ettari di terreno con annessa cantina. La società sborsò circa 6 milioni di euro ad Agro-Invest di Caradonna Gian Luigi & c. Sas.

Il provvedimento di sequestro è stato eseguito su terreni e fabbricati di due tenute siciliane di proprietà di uno dei più importanti gruppi nazionali a livello internazionale nel settore vitivinicolo. Si tratta di un complesso aziendale, del valore di oltre 70 milioni di euro, che si estende nelle province di Agrigento e Ragusa con oltre 900 ettari di vigneti e numerosi fabbricati. Sono in corso numerose perquisizioni presso i domicili di quattro indagati – Fabio Rizzoli, ex amministratore delegato di Mezzacorona; Luca Rigotti, presidente del consiglio di amministrazione; Gian Luigi Caradonna e Giuseppe Maragioglio, che gestivano le società proprietarie dei beni dei Salvo – ritenuti responsabili, in concorso, del reato di riciclaggio aggravato dall’aver agevolato l’organizzazione criminale cosa nostra, presso gli altri luoghi nella loro disponibilità.

Le indagini, attraverso ricostruzioni societarie, esame documentale, accertamenti bancari, acquisizioni informative svolte con il supporto di alcuni ufficiali di polizia giudiziaria dell’aliquota della Polizia di Stato della Procura della Repubblica di Trento, e acquisizioni testimoniali anche da numerosi collaboratori di giustizia, hanno permesso di appurare che tra il 2000 e il 2005 è stata attuata una operazione commerciale, attraverso la quale sono state acquisite le due tenute siciliane dalla precedente proprietà mafiosa per ottenere i terreni e gli edifici pertinenziali precedentemente individuati come funzionali ai progetti di sviluppo del Gruppo trentino.

Sequestro Feudo Aranci, Sambuca di Sicilia

Il quadro indiziario raccolto dagli investigatori del Gruppo di Investigazione sulla Criminalità Organizzata (G.i.c.o.) di Trento ha permesso di: delineare gravi indizi di responsabilità anche a carico di soggetti del gruppo societario trentino che, con due operazioni contrattuali collegate tra loro, hanno acquisito beni immobili in Sicilia, inizialmente di proprietà dei cugini Salvo, Ignazio e Antonino detto ”Nino”, della famiglia di Salemi del mandamento di Mazara del Vallo, pervenuti ai venditori attraverso il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso commesso dai propri danti causa. Dopo la morte dei due cugini Salvo la gestione formale dei beni è stata affidata a prestanome mentre quella reale, su ”delega” di cosa nostra, ad un palermitano e all’allora capo mandamento di Sambuca di Sicilia, previa autorizzazione di un boss latitante; appurare che le cessioni delle due tenute al Gruppo trentino si sono perfezionate grazie all’operato congiunto di un commercialista e di un imprenditore, entrambi siciliani, quest’ultimo fornitore nonché socio di minoranza del Gruppo trentino. 

E infine dimostrare che per la componente mafiosa lo scopo del reato di riciclaggio è stato quello di liberarsi di beni immobili ricevuti e gestiti attraverso attività criminali per sottrarli a misure cautelari reali e per investire il ricavato, così ripulito, in ulteriori imprese delittuose. Di fatto, tenuto conto che la provenienza mafiosa dei beni sarebbe stata sempre identificabile e ricostruibile anche a distanza di molti anni, la loro trasformazione in denaro contante ha consentito a cosa nostra di anonimizzarne l’origine. Secondo un collaboratore di giustizia si tratta di ”un classico di messa a posto” utile a garantire posti di lavoro, nonché denaro per i professionisti e le aziende contigue alla mafia.

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