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L’ira del procuratore Di Leo: “Abolizione abuso ufficio apre a impunità; lavori fermi non per colpa delle indagini”

Le parole del procuratore Di Leo non sono certamente passate inosservate: delineano un quadro inquietante su quello che sta emergendo dalle indagini e a questo punto non sono esclusi ulteriori clamorosi sviluppi nell’inchiesta

Pubblicato 4 settimane fa

“Il quadro che emerge dalle indagini è tale da fare ritenere gravemente pregiudicato l’interesse della popolazione della provincia agrigentina ad una serena, efficiente e produttiva amministrazione.” Non sono certamente passate inosservate le parole del procuratore capo di Agrigento, Giovanni Di Leo, intervenuto questa mattina con un comunicato stampa a margine del (nuovo) arresto del dirigente comunale Sebastiano Alesci, al centro della maxi inchiesta che ipotizza un “sistema” in grado di pilotare gli appalti e corrompere i pubblici ufficiali. 

Una presa di posizione chiara e netta che suona come una risposta – seppur non venga mai fatto il nome – alle dichiarazioni degli scorsi giorni del sindaco di Agrigento, Franco Miccichè, che pur “riponendo sempre illimitata fiducia nell’operato della magistratura” aveva anche auspicato che le indagini non pregiudicassero la realizzazione dei lavori relativi alla ristrutturazione della rete idrica. La procura scrive: “Preme rilevare alcuni dati oggettivi, anche a parziale rettifica di alcune prese di posizione pubbliche che hanno commentato una indagine ancora in corso, non essendo pienamente a conoscenza dei fatti [..] Il timore che l’attività di indagine possa ritardare o impedire la realizzazione di opere pubbliche di vitale importanza per la collettività contrasta con l’evidenza delle situazioni economico-amministrative degli appalti oggetto di esame.”

Tradotto. I ritardi nella realizzazione di importanti opere pubbliche non sono certamente dovuti all’azione dei magistrati. E spiega il perchè: “Il rifacimento della rete idrica di Agrigento era stato finanziato, per intero, nel 2015 con il patto per la Sicilia. Ad oggi per la stessa cifra, in parte erogata, è finanziato, e sono consegnati per lo stesso importo, lavori costituenti un “primo stralcio”. Sono passati 10 anni e non per l’esistenza di indagini preliminari. Ad oggi ad eseguire lavori formalmente consegnati all’impresa vincitrice nel 2023 sono pochi operai ed un escavatore di una impresa che rappresenta il 12% dell’ATI aggiudicataria. I lavori per il CCR di Ravanusa rientrano in una progettazione che risale al 2013, presa in esame con il piano regionale sullo smaltimento dei rifiuti in Sicilia, risalente al 2015, rielaborato nel 2019, ed è stato bandito – con urgenza ai sensi del codice degli appalti – nel 2022, con un termine per la presentazione delle offerte di soli 22 giorni, 18 lavorativi.”

Ma la parte, forse, più indicativa dell’intervento del procuratore Di Leo giunge alla fine del comunicato stampa. Le sue parole, che delineano un quadro inquietante su quanto sta emergendo dalle indagini, preannunciano possibili imminenti sviluppi nell’inchiesta. E non si escludono ulteriori e importanti colpi di scena: “Altri lavori non ancora banditi, sono già oggetto di mire appropriative da parte dei membri della associazione per delinquere per la quale si continua indagare, anche se il Giudice non ha ancora ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza al riguardo. Al centro di tale sistema vi sono figure politiche, tecniche, amministrative enti e strutture già note. Ogni struttura istituzionale è stata debitamente attivata da questo Ufficio, al fine di scongiurare perdite di finanziamenti, blocco di lavori e ulteriori danni per la cittadinanza che vede l’acqua scorrere per le strade e non nelle tubazioni, i rifiuti per le strade e discariche spuntare ovunque.” Infine il capo dei pm lancia un appello: “Si auspica che l’attività onerosa, discreta, e ancora agli inizi,  dell’Autorità giudiziaria e della Polizia di Stato sia accompagnata dalla collaborazione di chi, imprenditore, politico, amministratore, professionista, sa e ha finora taciuto, almeno in nome di quella “Cultura” di cui Agrigento è quest’anno capitale italiana, in cui dovrebbe rientrare anche il “senso civico”.

Il procuratore Di Leo, peraltro, ha anche parlato delle norme sulla corruzione, l’abolizione del reato di abuso di ufficio e l’indispensabile strumento delle intercettazioni: “I tempi di una attività amministrativa complessa sono di norma assai più lunghi e in ogni momento possono inserirsi in essa fenomeni devianti dal buon andamento della Pubblica Amministrazione. Le intercettazioni sono e restano, pertanto,  uno strumento indispensabile per l’accertamento di reati a concorso necessario, come quelli oggetto di indagine, dove non è pensabile che il corrotto o il corruttore si presenti spontaneamente a denunziare i fatti che lo coinvolgono, o che un terzo, vista la natura illecita e segreta dell’accordo corruttivo, possa venire a conoscenza del medesimo e riferire alla autorità giudiziaria o di polizia. Gli attuali controlli amministrativi esistenti, già in parte depotenziati, non appaiono sufficienti a garantire sprechi e ruberie. L’obbligo dell’Ufficio requirente o del personale di polizia giudiziaria di reprimere detti fenomeni è ulteriormente reso più gravoso dalla intervenuta abolizione di un reato-spia, come l’abuso d’ufficio, che spesso permetteva di avviare indagini più complesse. Il quadro normativo attuale sembra pertanto volgere ad una richiesta di sostanziale  “impunità” per detti reati,  che non può essere ovviamente accolta, finchè il reato di corruzione  resta nel codice penale, da chi costituzionalmente è chiamato ad esercitare l’azione penale, e quindi ad indagare, in modo autonomo, indipendente e nel rispetto del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.”

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