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Mafia, politica e appalti a Sciacca: chieste 4 condanne 

La pena più alta è stata chiesta per Domenico Friscia, ritenuto il nuovo boss della famiglia mafiosa di Sciacca

Pubblicato 34 minuti fa

La Direzione distrettuale antimafia di Palermo ha avanzato la richiesta di condanna nei confronti di quattro imputati coinvolti nell’inchiesta che lo scorso anno fece luce sulla riorganizzazione di Cosa nostra a Sciacca e sui rapporti del clan con la politica e l’imprenditoria locale. Il sostituto procuratore Francesca Dessì ha chiesto 20 anni di reclusione per Domenico Friscia, 61 anni, ritenuto il nuovo boss della famiglia mafiosa, e 13 anni di reclusione per Giuseppe Marciante, 37 anni, nipote del capomafia, titolare della Gsp Costruzioni, ritenuto la mente imprenditoriale del clan. Il pubblico ministero ha altresì chiesto le condanne di Vittorio Di Natale, 49 anni, ex consigliere comunale, e Rosario Catanzaro, 65 anni: 8 anni di reclusione è la pena invocato per il primo mentre 6 anni e 8 mesi di reclusione quella per il secondo. Questi ultimi due sono accusati di scambio elettorale politico-mafioso.

Il processo, che si celebra con il rito abbreviato, è in corso davanti il giudice per l’udienza preliminare di Palermo, Carmen Salustro. Fissato già un calendario di udienza  (16,23,30 settembre) dedicato alle arringhe delle difese.

A Friscia e Marciante viene contestata l’associazione a delinquere di stampo mafioso: il primo per aver “ereditato” il trono dello storico boss Totò Di Gangi dopo aver avuto la meglio sul “rivale” Domenico Maniscalco, deceduto alcuni mesi fa in carcere. Friscia è uno storico uomo d’onore di Sciacca, già arrestato nel 2003 nell’operazione “Itaca” e nuovamente coinvolto in seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Bucceri nell’inchiesta “Opuntia”. Per Di Natale e Catanzaro l’accusa è scambio elettorale politico-mafioso. La famiglia mafiosa di Sciacca avrebbe anche tentato di condizionare l’andamento delle elezioni nel 2022. Il boss Friscia avrebbe incontrato Di Natale, un tempo in Forza Italia con cui provò ad entrare all’Ars, per poi candidarsi con la lista Onda al consiglio comunale. Ottenne 305 voti ma non fu eletto. A siglare l’accordo, secondo l’accusa, fu Rosario Catanzaro.

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