“Mazzette per sbloccare fatture”, quattro i casi contestati al funzionario regionale arrestato
Sarebbe stata una prassi consolidata quella del funzionario di chiedere 500, 1000 o 2.500 euro in base all'importo dei lavori finanziati. In un caso avrebbe preteso anche un monopattino
Sono quattro gli episodi di concussione contestati dalla procura al funzionario dell’assessorato regionale ai Beni Culturali, Antonio Librizzi, arrestato dai finanzieri dopo avere ricevuto all’interno di un’agenda una tangente di mille euro che erano stati precedentemente segnati e fotocopiati dagli investigatori. Tre richieste ai danni di un imprenditore e uno a un editore. E’ quanto si legge nell’ordinanza del gip Giuseppa Zampino che ha disposto il carcere per il funzionario arrestato. Dalle indagini dei finanzieri del comando provinciale di Palermo è emerso che sarebbe stata una prassi consolidata quella del funzionario di chiedere 500, 1000 o 2.500 euro in base all’importo dei lavori finanziati. In un caso avrebbe preteso anche un monopattino. Alla fine l’impiegato regionale si sarebbe accontentato dei soldi, circa 400 euro, per sbloccare la fattura.
Come denunciato dagli imprenditori vittime l’iter era sempre lo stesso. Gli imprenditori venivano contattati dallo stesso funzionario. Poi si decideva l’affidamento dei servizi. Successivamente lo svolgimento dell’iniziativa culturale e al momento del pagamento c’era sempre un intoppo che sarebbe stato superato dopo il pagamento di una somma di denaro richiesta dal funzionario. I finanzieri nel corso delle perquisizioni in casa di Librizzi hanno trovato altre agende e altri involucri, dove erano stati consegnati i soldi delle prime presunte mazzette. Negli uffici della soprintendenza del mare in via Lungarini sono stati sequestrati decine di progetti svolti o ancora da realizzare.
Su tutti questi stanno indagando i finanzieri che stanno sentendo quanti hanno realizzato le iniziative. “Diceva di essere il padrone della Regione e che lui poteva fare ogni cosa”, raccontano le vittime. La scelta di collaborare con la giustizia non è stata ben vista tra le stanze dell’assessorato ai beni culturali e alla soprintendenza. “Già diversi sanno che sono stato io a denunciare – racconta uno degli imprenditori – E qualcuno tra quelle stanze neppure mi saluta più”.


