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Omicidio commissionato alla Stidda di Canicattì, il ruolo di Antonio Maira

Temeva di essere ucciso l’assessore comunale di Palagonia, Antonino Ardizzone, 45 anni, incensurato, da ieri in carcere con l’accusa di concorso in omicidio. E la sua paura lo aveva determinato a confessare ai carabinieri, nel dicembre scorso, il suo ruolo di partecipe nel delitto di Francesco Calcagno, il palagonese ucciso il 23 agosto 2017 nel […]

Pubblicato 2 anni fa

Temeva di essere ucciso l’assessore comunale di Palagonia, Antonino Ardizzone, 45 anni, incensurato, da ieri in carcere con l’accusa di concorso in omicidio.

E la sua paura lo aveva determinato a confessare ai carabinieri, nel dicembre scorso, il suo ruolo di partecipe nel delitto di Francesco Calcagno, il palagonese ucciso il 23 agosto 2017 nel podere di proprietà, in contrada Nunziata, al quale non sarebbe stato perdonato l’assassinio dell’ex consigliere comunale Marco Leonardo, in un bar del centro, il 5 ottobre 2016.

Sarebbe stato Ardizzone a reclutare il killer che ha agito in terra etnea rivolgendosi ad un personaggio di spicco della Stidda canicattinese, Antonio Maira, attualmente detenuto, usuraio violento di professione, tre condanne per complessivi 30 anni di carcere per traffico di droga, usura e mafia.

E Maira avrebbe inviato a Palagonia per compiere la sua missione di morte, l’agrigentino Luigi Cassaro, feroce esecutore ma sbadato: è stato filmato mentre uccideva Calcagno lasciando sul luogo del delitto un cappellino con visiera improvvidamente caduto e mai recuperato che ha fornito i dati biologici che lo hanno incastrato e portato alla condanna definitiva a trent’anni di reclusione.

Dopo le confessioni, anche davanti al pubblico ministero, Ardizzone ha avuto un ripensamento e si è rimangiato tutto affermando di avere agito sconsideratamente perché vittima dell’uso di psicofarmaci. Ma nessuno ha creduto a questa seconda versione e i carabinieri hanno, a tempo di record, indagato nuovamente sul delitto, valorizzando gli elementi emersi in precedenza e comparandoli con quelli forniti dall’assessore.

Ed il Gip del Tribunale di Catania, Giuseppina Montuori, ha firmato il provvedimento di cattura azzerando, in questo modo, la paventata ma non convincente ipotesi del suicidio.

Infatti, è accaduto in queste ultime settimane che Ardizzone finesse al pronto soccorso per evidenti ma superficiali ferite ai polsi. Ciò per gli inquirenti, sarebbe una mossa concordata con i familiari (che hanno spinto molto per far ritrattare l’assessore) per avvalorare l’ipotesi secondo la quale l’uso di psicofarmaci avesse minato la mente dell’arrestato.

Per i mandanti che, secondo la pubblica accusa, «sono da individuarsi in soggetti vicini a Leonardo» sono ancora in corso indagini che porteranno a clamorose sorprese.

Antonio Maira, 72 anni, stiddaro di Canicattì, fascicolo giudiziario lungo tre km, condannato per mafia, usura, traffico di stupefacenti, complessivamente 30 anni di carcere (è attualmente detenuto e sconta poco meno di 9 anni per usura), è senza dubbio il personaggio chiave dell’inchiesta dei carabinieri di Palagonia che hanno arrestato l’assessore comunale Alessandro Ardizzone con l’accusa di concorso in omicidio.

E’ personaggio di primo piano – hanno già scritto i poliziotti di Agrigento che gli hanno sequestrato beni per mezzo milione di euro –  nel panorama delinquenziale della provincia agrigentina. Mafioso  ante  litteram,  ha  infatti  militato con ruoli di primo piano già  negli  anni  ’80  nella  “Stidda”,  clan  notoriamente contrapposto a “Cosa Nostra”, potendo la cosca disporre a Canicattì di una nutrita e pericolosa cellula, di cui appunto egli faceva parte.

Lo hanno messo nero su bianco anche i giudici della Corte d’assise di Agrigento che nel processo “Allegro+77” gli hanno inflitto 22 anni di carcere poi ridotti in appello a poco più di 17 anni. Proprio in questo processo i pentiti hanno evidenziato che “Maira ha subito l’uccisione di un figlio, che ancorché  giovanissimo, era stato inserito dall’imputato nel traffico di droga ed era stato punito con la morte da esponenti di Cosa Nostra”.

Ma già prima, Maira era finito in un vorticoso traffico di droga, siamo nei primi anni 80, gestito da mafia e stidda che porto in carcere una trentina di persone.

Maira, per conto del suo “Paracco”, si occupava del traffico di droga e di rapine, e fece parte di un commando che nel novembre 1983 compi una colpo in un’armeria di Favara, ove furono trafugate diverse armi, nonchè di altro gruppo di rapinatori che nello stesso periodo arraffò 27 milioni di vecchie lire assaltando una banca di Palma di Montechiaro, dopo aver immobilizzato la guardia giurata ed aver sottratta la pistola.

Una delle armi trafugate nell’armeria e quella della guardia giurata furono poi rinvenute, l’anno successivo, nella sua disponibilità nel corso di una perquisizione domiciliare.

Suo implacabile accusatore fu il giudice Rosario Livatino che nel processo sul traffico di droga ottenne la condanna più pesante che scontò fino al 2004.

Nel 1997 la Corte di Assise di Appello di Palermo conclamò il ruolo dello stesso nel gruppo degli “Stiddari”, condannandolo a 5 anni  di reclusione.

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