“Senza verità nessuna giustizia”: l’intervista a don Luigi Ciotti (Libera)
Severissimo con la storia che racconta e altrettanto severo con l’uditorio che talora si distrae, don Luigi Ciotti ispiratore e fondatore dell’Associazione Libera, ha incontrato gli studenti delle classi IV e V dell’indirizzo commerciale del “Fodera’” di Agrigento e dell’Istituto “Brunelleschi” a indirizzo tecnologico. L’iniziativa è nata in relazione alle attività di preparazione della partecipazione […]
Severissimo con la storia che racconta e altrettanto severo con l’uditorio che talora si distrae, don Luigi Ciotti ispiratore e fondatore dell’Associazione Libera, ha incontrato gli studenti delle classi IV e V dell’indirizzo commerciale del “Fodera’” di Agrigento e dell’Istituto “Brunelleschi” a indirizzo tecnologico.
L’iniziativa è nata in relazione alle attività di preparazione della partecipazione delle scolaresche alla XXV Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa da Libera e Avviso pubblico, che si svolgerà a Palermo il prossimo 21 marzo 2020.
A porgere il saluto a don Ciotti, presente il prefetto di Agrigento, Dario Caputo che ha rivolto parole di apprezzamento verso il sacerdote, è stato il dirigente scolastico Alfio Russo che (doveroso notarlo) ricalca le orme del padre Angelo, direttore didattico a Villaseta a cui si deve la pubblicazione, negli anni 80, del primo giornalino scolastico antimafia apprezzato, allora, dal maresciallo Giuliano Guazzelli.
Don Ciotti, dicevamo è severissimo con la storia che racconta e si presenta definendosi “un noi” e non “un io”.
Ricordando di combattere le malattie peggiori di oggi come rassegnazione e delega ad altri, il fondatore di Libera ripercorre gli anni della sua infanzia povera “ma dignitosa” in cui comprese come la relazione sia il senso della vita e che la memoria non può rimanere ingabbiata nel passato.
“Quel 23 maggio 92 io ero in Sicilia” e ancora oggi mi chiedo – dice don Ciotti – cosa possiamo fare di più per rispetto a quanti hanno speso la loro vita e il loro sacrificio – e rivolgendosi ai giovani – per questo vi ringrazio della vostra presenza e del modo in cui siete qui”.
Don Ciotti riserva parole appassionate alla vicenda Falcone e alla memoria degli uomini della scorta ricordando le frasi lapidarie della moglie dell’agente Schifani “Uomini senza onore avete perduto, avete chiuso cinque bocche ma ne avete aperte 50 milioni”.
“Non è andata proprio cosi – avverte il fondatore di Libera – se, per riferirci solamente alla provincia di Agrigento – abbiamo oltre quaranta famiglie mafiose che operano e non c’è regione d’Italia che possa considerarsi esente”.
C’è un appello finale che don Ciotti lancia ai giovani che lo ascoltano: “Occorre la corresponsabilità contro i parassiti mafiosi che distruggono dal di dentro, scuola e lavoro devono costituire gli elementi centrali, il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi e ancora la nostra esistenza trova senso nella corresponsabilità”.
Don Ciotti, le parole del magistrato Di Matteo, “bestiali reticenze istituzionali”, in relazione alla strage di Via D’Amelio, sono durissime. E non sembra avere fine l’inverno che stiamo attraversando.
“Sono parole vere, sono parole che arrivano da un magistrato conoscitore di atti, di percorsi, di testimonianze che ha il coraggio quindi di usare parole vere, parole scomode. Parole, però, che devono lacerare la coscienza di tutti e chiedono conto alle varie responsabilità che ci sono. Tutto quello che c’è dietro alle mafie e alle loro connessioni, sono delle verità molte delle quali dobbiamo farle emergere fino in fondo”.
Ritengo che lei abbia notato questa difficoltà delle “sardine” a nuotare nei mari siciliani, è ancora un sintomo preoccupante? Lei che impressione ne trae?
“Sono dei giovani che bisogna valorizzare, riconoscere, anche da sostenere. Le “sardine” sono dei cittadini, giovani ,adulti, anziani è tutta gente che si affaccia, che ci mette la faccia, che chiede il cambiamento. Credo sia giusto valorizzare quanti si mettono in gioco, perché abbiamo bisogno di alzare la voce e non l’imprudente silenzio e di fronte a certe situazioni non si può stare zitti, soprattutto non si può stare inerti. Tutte queste parole e manifestazione devono diventare concretezza e quindi andiamo, spingiamo perché ci possa essere un cambiamento. Sono meravigliosi questi ragazzi che scendono per le strade ma soprattutto tante classi sociali che indicano una crisi socio-ambientale, lottano per i diritti umani. Hanno bisogno di essere accolti, accompagnati, hanno bisogno di essere loro i protagonisti, fanno appello alla nostra coscienza anche di noi che abbiamo lottato”.
Ancora non proprio risolta la difficoltà che le Procure del nord Italia ma anche quelle della Germania, per esempio, hanno nei confronti del propagarsi mafioso. Grandangolo ne ha informato diffusamente anche in un convegno internazionale. Rimane un problema serio. A che punto siamo?
“In tutta Europa non si deve parlare di mafia, al massimo si parla di crimine organizzato. Questo cosa comporta? Che le organizzazioni mafiose, cominciando dalle nostre, scelgono quelle nazioni che sono molto fragili, molto deboli e si va appunto in quelle nazioni dove gli istituti giuridici sono fragili e non viene riconosciuto il reato di stampo mafioso. Quindi le nostre mafie le troviamo sparse per il mondo e l’Europa. Ci si deve muovere, io ho lavorato cinque anni al parlamento europeo per chiedere una direttiva che è, si, passata, ma è monca. E’ passata nel 2014, nel 2016, piccoli passi ci sono ma sono insufficienti. Ora finalmente è stata istituita la Procura europea ma l’incarico che gli è stato dato riguarda altri vari tipi di reati. Però anche questo è un piccolo passo”.