Trasportano 5 tonnellate di cocaina ma vengono assolti per “stato di necessità”, appello della procura
Il tribunale di Agrigento aveva riconosciuto agli imputati di avere agito in “stato di necessità” per le minacce di morte subite. La Dda di Palermo impugna la sentenza
La Direzione distrettuale antimafia di Palermo ha impugnato la sentenza con la quale il tribunale di Agrigento ha assolto dodici dei quindici imputati (difesi dagli avvocati Leonardo Marino, Giancarlo Liberati, Alessia Dzedzinska, Marco Scudo e Maria Paola Polizzi) coinvolti nel maxi sequestro di cinque tonnellate di cocaina, per un valore di quasi un miliardo di euro, avvenuto al largo di Porto Empedocle nell’estate 2023. In primo grado, infatti, i giudici di Agrigento hanno riconosciuto lo “stato di necessità” a (quasi) tutti i membri dell’equipaggio poichè sarebbero stati costretti a caricare sulla nave e scaricare in mare lo stupefacente dietro la minaccia di morte rivolta anche ai loro familiari dei quali i trafficanti avevano acquisito informazioni, foto e indirizzi.
La Dda di Palermo, dunque, chiede non soltanto che venga riformata la sentenza di primo grado relativamente alle posizioni dei membri dell’equipaggio (per il reato di detenzione e trasporto dell’ingente quantitativo di cocaina) ma anche nei confronti dei tre principali imputati, condannati a pesanti pene ma assolti dal reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Per i magistrati palermitani “non vi è dubbio che la condotta degli imputati integri un contributo rilevante per la conservazione e il rafforzamento del suddetto sodalizio, costituendo indubbiamente una operazione di enorme rilevanza, quale il trasporto di oltre cinque tonnellate di cocaina, un evento oltremodo significato nella vita di un’organizzazione finalizzata al narcotraffico”.
La Dda di Palermo “contesta” anche la circostanza sostenuta dal tribunale di Agrigento secondo la quale gli imputati avrebbero “agito per “necessità” e che le minacce da loro subite “avrebbero inciso in modo diretto sulla libertà di autodeterminazione”. Nell’atto di appello, infatti, si legge: “Non è stata raggiunta, ad avviso di chi scrive, che la prova che la scrutinante fosse stata integrata nei suoi requisiti legali né che come tale si fosse prospettati per gli stessi minacciati. Costoro, infatti, non riferivano di una impossibilità insuperabile di sottrarsi alla minaccia, che avrebbero potuto neutralizzare abbandonando la nave nel corso di una delle soste presso i porti che la stessa toccava o coalizzandosi per reagire ai minaccianti turchi”.
IL MAXI SEQUESTRO
Le contestazioni elevate a carico degli odierni imputati prendono le mosse dal sequestro, avvenuto nelle coste siciliane il 19 luglio 2023, di un quantitativo eccezionale di cocaina, contenuta in 188 colli riversati in mare dalla motonave “Plutus” la sera del 18 luglio 2023 e caricati a bordo del peschereccio “Ferdinando D’Aragona”. Le indagini della Guardia di Finanza nascono dal ritrovamento di 56 chili di hashish nella disponibilità di due pregiudicati palermitani. L’attività investigativa ha così permesso di ricostruire i movimenti telefonici effettuati esclusivamente da utenze criptate olandesi. Si è così delineata, con il proseguo delle indagini, una ben radicata organizzazione criminale dedita al narcotraffico operativa tra la Sicilia e la Calabria. Il blitz scatta la notte del 19 luglio 2023. Gli investigatori tengono d’occhio la motonave Plutus, battente bandiera di Palau, piccolo arcipelago vicino le Filippine. L’imbarcazione effettua movimenti anomali, cambi di rotta, non comunica gli spostamenti alle autorità. Ed è proprio in quel momento che entra in scena il peschereccio “Ferdinando d’Aragona” che, a circa quaranta miglia dalle coste italiane, recupera una serie di pacchi gettati in mare. La Guardia di Finanza entra in azione e blocca il peschereccio, portandolo nel porto più vicino: Porto Empedocle. Vengono così rinvenuti ben 187 colli contenenti 24 panetti ciascuno: sono 5,3 tonnellate di cocaina. La nave Plutus, che aveva tentato una fuga, verrà bloccata in seguito e portata nel porto di Termini Imerese.
LE MOTIVAZIONI DEL TRIBUNALE DI AGRIGENTO
“Pur partecipando a vario titolo alle operazioni di carico e scarico della sostanza stupefacente in mare e, quindi, al trasporto della stessa, concorrendo consapevolmente nel delitto hanno agito in stato di necessità derivante da minaccia”. È quanto scrivono i giudici della prima sezione penale del tribunale di Agrigento nella sentenza con la quale sono stati assolti 11 membri dell’equipaggio “Plutus”. Il collegio prosegue: “Risulta provato che gli imputati agirono sotto la minaccia altrui, esercitata informa verbale e continuativa da parte dei soggetti Tekin Erkan e Aycun Tahir Ergin, i quali rivesti- vano una posizione dominante a bordo del natante “Plutus”. Costoro minacciarono esplicitamente di morte i membri dell’equipaggio, prospettando, in caso di disobbedienza, non solo danni gravi alla loro incolumità, ma anche ritorsioni nei confronti dei rispettivi familiari. Tali minacce risultano connotate da serietà e concretezza, anche in considerazione del fatto che i due soggetti, con l’inganno, si erano precedentemente fatti consegnare i recapiti e i nominativi dei congiunti degli imputati, simulando l’esigenza di doverli avvisare in caso di avaria della nave.La condotta minacciosa, così strutturata, ha inciso in modo diretto sulla libertà di autodeterminazione degli imputati, inducendoli a uniformarsi alle disposizioni ricevute, in un contesto di coazione psicologica. Quanto al requisito dell’inevitabilità del pericolo, risulta evidente l’assenza di alternative lecite effettivamente praticabili, valutate in concreto e non in astratto. Gli imputati si trovavano in alto mare, all’interno di un natante battente bandiera straniera, privati dei propri dispositivi mobili, senza alcuna possibilità di comunicare con l’esterno o di richiedere l’intervento dell’autorità. Non solo: la nave era in navigazione, rendendo impossibile qualsiasi ipotesi di fuga, e anche nei rari momenti di sosta, come quello avvenuto nel porto di Las Palmas, un eventuale allontanamento, quand’anche fosse riuscito, non avrebbe eliminato il rischio di ritorsioni nei confronti dei familiari dei soggetti minacciati, dei quali i minaccianti, è bene evidenziarlo, possedevano nomi e indirizzi. Non risultava neppure praticabile, alla luce delle condizioni oggettive esistenti, un’azione di ribellione collettiva da parte degli imputati. Costoro, infatti, non si conoscevano tra loro, provenivano da Paesi diversi, e ciò ha certamente generato sfiducia reciproca e incapacità di coordinamento. Inoltre, la nave aveva dimensioni considerevoli (circa 140 metri di lunghezza), rendendo impossi- bile conoscere la posizione o le intenzioni degli altri membri dell’equipaggio, né era possibile escludere che Tekin Erkan e Aycun Tahir Ergin fossero armati.


