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Ratzinger e l’opposizione al relativismo

di Gaetano Cellura

Pubblicato 1 anno fa

Veniva da lontano il “Papa emerito”. Veniva dalla chiesa post-conciliare cui non aveva fatto mancare rilievi: “Avremo presto preti ridotti al ruolo di assistenti sociali e il messaggio di fede ridotto a visione politica”. In quegli anni si sentiva parte di un piccolo gregge da cui la Chiesa sarebbe rinata: “più piccola, più povera, quasi catacombale, ma anche più santa”. Veniva dal Rapporto sulla fede (1984) in cui manifestava la propria opposizione a un mondo agnostico e ateo interpretato positivamente. E nel 1997 diceva che l’inattualità della Chiesa non era la sua debolezza ma al contrario ne era la forza. La forza di opporsi profeticamente all’ideologia della banalità dominante. Veniva da lontano e guardava con apprensione al futuro del cristianesimo.  

E, diventato papa Benedetto XVI, veniva Joseph Ratzinger dal discorso di Ratisbona. In cui propugnava fede e ragione e condannava il fanatismo religioso. Discorso che non piacque ai grandi poteri del mondo, al globalismo della tecnocrazia e dell’uomo ridotto a merce. Come non piacque al mondo musulmano, che si sentì, dalla condanna del fanatismo, tirato in causa.

Queste in sintesi le tappe di un grandissimo uomo di chiesa che era insigne teologo e filosofo. Per papa Wojtyla “l’ultimo teologo del Vaticano II”. Le sue “dimissioni” nel 2013 dall’esercizio del Ministero (e facciamo attenzione a questa parola) la tappa infine più sconvolgente e traumatica nella storia della chiesa benché altre due ve ne siano state nel lontano passato. Il termine Ministero merita attenzione perché è quello che troviamo nella Declaratio di Ratzinger del 2013 sin dal primo momento oggetto di controversia filologica tra chi sostiene che il papa è solo uno, non può essere altrimenti, e chi invece approva la coabitazione di due papi. Per i sostenitori della prima tesi, l’attributo di papa emerito va inteso nel suo significato etimologico – papa cioè che merita di esserlo – e non nel senso (diciamo così) burocratico con cui è stato accompagnato il ritiro di Benedetto XVI in impedita sede. In altri termini, per rendere vacante la sede papale, consentire il conclave che ha eletto papa Bergoglio come suo successore, Ratzinger avrebbe dovuto rinunciare al munus pietrino, dono che viene direttamente da Dio. Cosa che non ha fatto: rinunciando solo al ministerium. All’esercizio cioè delle funzioni di papa. Di qui la sottile disputa filologicaancora tutta da chiarire e che ha diviso il Vaticano e in qualche modo anche il mondo cattolico.

Abbiamo ascoltato molti commenti, molte opinioni pur autorevoli sul papato di Ratzinger,la sua dottrina, il suo lascito spirituale in questi primi tre giorni di commemorazione, ma nessun argomento che abbia affrontato risolutamente la realtà vissuta in questi quasi dieci anni di coabitazione tra due papi. Un’anomalia per il diritto canonico, che non sappiamo ancora se verrà successivamente regolata.

Benedetto XVI era il papa che riusciva a parlare e a farsi capire anche con il silenzio. Intendeva il cristianesimo come la sola opposizione al relativismo del nostro tempo, un tempo spiritualmente sfuggito di mano alla Chiesa: e forse la vera ragione delle sue dimissioni sta proprio nel non essere riuscito a restituire a questo nostro tempo il rigore del Vangelo. Ora guardiamo la grande commozione del popolo dei fedeli alle sue esequie solenni che resteranno indelebili nella memoria del mondo.    

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